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15.10.2020

Sport

| Arti Marziali

Full Contact, un campione in casa ASI

Unico kickboxer al Mondo ad aver difeso il titolo mondiale nella specialità Full Contact per ben 13 volte e ad aver conquistato 4 titoli europei, Giorgio Perreca racconta la sua eccezionale vita sportiva e il progetto che lo vede protagonista in ASI

Giorgio Perreca, classe 1963, nasce sportivamente con il Full Contact a Roma: qui opera tutt’oggi in palestra, nella borgata che non ha mai voluto lasciare, nonostante abbia girato l’Italia e il Mondo intero inseguendo una trentina di titoli di Campione Italiano, 4 titoli europei e ben 13 titoli mondiali. Chiusa una carriera agonistica che non ha precedenti nella storia, oggi Giorgio lavora alla diffusione dei principi della sua specialità sentendo forte l’esigenza di contrastare la formazione superficiale degli insegnanti che talvolta incontra sulla propria strada. I suoi intenti incrociano recentemente la propria strada con quella di ASI: ne scaturisce un progetto promettente ormai pronto per la realizzazione.

Qual è esattamente il suo rapporto con ASI e in che cosa consiste il progetto avviato?
“Dirigo una palestra, la Ringym, che è affiliata ASI: qui abbiamo corsi per tutti gli sport da combattimento, come Kick boxing, Full Contact e Pugilato; io stesso sono un Maestro di ciascuna di queste specialità, ma sono anche un Tecnico ASI e sto lavorando ad un progetto di formazione: sono stato incaricato da ASI di occuparmi personalmente di questo progetto che mira a creare nuovi istruttori curandone la crescita da vicino. Troppo spesso mi è capitato di imbattermi in sedicenti Maestri la cui farraginosa preparazione non poteva che produrre danni: danni agli allievi da loro seguiti, ma anche a tutti quei colleghi che hanno con fatica inseguito una carriera agonistica o hanno portato avanti una formazione seria e impegnativa per giungere al ruolo di insegnante”.

Il Full Contact è uno sport relativamente giovane: nasce in USA nel 1974 e già nel 1978 lei inizia a praticare quello che allora si chiamava Karate Contact (poi inserito nella Kickboxing col nome di Full Contact) in una palestra a Roma che cominciava all’epoca a divulgare questa disciplina. 

Com’è cominciata la passione per uno sport che ancora praticamente non esisteva? 
“Faccio parte di una famiglia con 6 figli e quando ero bambino, mia madre, per farci divertire insieme, ci portava al cinema: tra i film proiettati c’erano anche quelli  di Bruce Lee ai quali, manco a dirlo, mi appassionai immediatamente; ammiravo la sua arte ancor più dei suoi combattimenti divenendo così grande estimatore  del Jeet Kune Do. Mio fratello più grande praticava Karate e conosceva questa mia nascente passione, perciò, quando seppe che c’era una palestra a Roma che aveva recentemente aperto ad un nuovo sport di combattimento, mi spinse a provare”.

L’incontro con questo sport è stato quindi quasi casuale, ma, conoscendo quello che avvenne dopo, sembra una predestinazione: Campione Italiano a soli 15 anni e Campione del Mondo per la prima volta a 20 anni. Com’è andato questo esplosivo inizio di carriera sportiva? 
“All’epoca il Full Contact era una disciplina molto giovane per cui si potrebbe pensare che avesse pochi partecipanti; in realtà in quel periodo i praticanti di arti marziali erano tutti concentrati tra Karate e Full Contact: non c’era la varietà di specialità che esiste oggi; inoltre non esistevano le miriadi di categorie (specialmente per età) che sono previste oggi: c’era solo una suddivisione con un criterio di peso. Le occasioni di gara non erano molte e tutti questi fattori hanno fatto sì, ad esempio, che al primo combattimento io abbia  dovuto affrontare un giovane adulto di 25 anni: aveva il fisico di un uomo ed era arrivato 5° ai Campionati del Mondo e io avevo solo 15 anni. E’ andata piuttosto bene, comunque: vinsi per KO alla seconda ripresa con un calcio circolare alto e portai a casa il titolo. Ero talmente motivato che la mia grande carica moltiplicava le mie potenzialità: era quello che volevo fare nella vita e già a quell’età lo sapevo e ne avevo piena consapevolezza. E’ stata un’emozione grandissima anche perché era la mia prima volta di fronte a un pubblico così vasto”.

Era il 1980 quando la sua strada si incrociò prima con quella di Daniele Malori, che a quel punto le diede una devastante proprietà di calcio, e poi con quella di Cesare Frontaloni, col quale rifinì nei minimi particolari la parte di pugilistica. Grazie ai miglioramenti ottenuti crebbe esponenzialmente come combattente praticando contemporaneamente Pugilato, Full Contact e Kick Boxing. E da qui ebbe inizio un’inarrestabile ascesa.

L’importanza per un allievo di incontrare i maestri giusti? 
“In quel preciso momento storico ho potuto fare la differenza perché quasi tutti venivano dalle arti marziali pure e non conoscevano il pugilato. Io ebbi la fortuna di comprendere l’importanza di arrivare ad essere un’atleta completo, rifinito anche dal punto di vista pugilistico. Il ruolo del maestro è assolutamente fondamentale, e l’incontro col maestro giusto ha un’importanza determinante nella carriera di un’atleta. Purtroppo il panorama di coloro che insegnano attualmente non è dei migliori; una buona preparazione prevedrebbe il passaggio per i precisi step di Allenatore, Istruttore e solo alla fine di Maestro; ciò che invece accade sempre più spesso è che circolano tanti personaggi che si fanno passare per maestri pur non avendone le capacità e spesso neanche i titoli così come illustrati. A volte non hanno nemmeno esperienze agonistiche e, quel che è peggio, mancano di adeguata formazione; gli interessi intorno a questo sono molti: assistiamo a volte a un vero mercimonio di diplomi, generalmente elargiti dopo poche ore di lezione, magari in un weekend. Anche per questo tengo particolarmente al progetto di formazione che sto portando avanti con ASI”.

Da questo momento in poi l’ascesa è continua: segue nel 1986 il Campionato Europeo.
“In quella sede mi tolsi grandi soddisfazioni. Il campionato avveniva a Parigi, terra di combattenti, di specialisti nella Savate oltre che nel Full Contact ed erano presenti 240 atleti da tutta Europa. Vinsi il titolo nella mia categoria di peso, ma la mia più grande soddisfazione fu nel ricevere il premio come miglior atleta dei Campionati Europei, cosa ragguardevole considerata la sede”.

Ma il primo titolo di Campione Mondiale era arrivato con il campionato di Londra nel 1983 quando aveva soli 20 anni. Soltanto 3 mesi dopo volle ripetere l’incontro organizzandolo nuovamente a Roma. Perché?
“Avevo già incontrato il mio avversario, Sacha Stojanovich, 2 volte: la prima volta a Londra al Campionato Europeo avevo perso ai punti; al Campionato Mondiale avevo una seconda chances, ma poco tempo prima avevo subito un infortunio che non mi consentiva tirare i calci come avrei voluto: vinsi comunque, ma non ero pienamente soddisfatto e il suo clan aveva anche sporto qualche reclamo. Decisi perciò che fosse il caso di organizzare una “bella”: dopo due incontri assegnati uno a ciascuno, era ora di decidere con un terzo incontro di chi fosse la supremazia. Il titolo mondiale era già mio da tre mesi, ma la mia passione è sempre stata tale e tanta che non ho mai perso la voglia di rimettermi in gioco. Così, tre mesi dopo il mondiale, organizzammo a Roma l’incontro decisivo in un Palasport gremito. Vennero 5000 persone ad assistere, un numero che per l’epoca era davvero significativo dato che il Full Contact era ancora poco diffuso. Fu un incontro epico: ebbi la meglio per KO al secondo round grazie ad un colpo appositamente ideato per l’occasione; nei tre mesi precedenti che mi separavano dall’ultima volta che avevo incontrato Stojanovich avevo lavorato molto sulle tecniche di gamba e sui calci; al mondiale non avevo potuto esprimermi al massimo con le gambe e volevo recuperare: il colpo che mi ha dato la rivincita e per questo appositamente ideato fu un calcio girato leggermente saltato in rotazione e portato in difesa, cioè di riposta all’attacco dell’avversario. E’ stato l’incontro che mi ha lanciato ai livelli più alti”.

Quali sono le sue caratteristiche come atleta? 
“Sono sempre stato dotato di forza esplosiva ed elastica molto sviluppata; agile, ma con una fibra muscolare notevole: sono stato tra i primi ad introdurre l’allenamento con i carichi e a dargli un’importanza tale che dopo un po’ se mi allenavo senza pesi mi sembrava di non aver fatto nulla.
Ho lavorato per essere completo sul ring e ottenere una notevole geometria veloce nei movimenti. Ho imparato a studiare l’avversario per sfruttare i suoi punti deboli e attaccare col repertorio di colpi su cui avevo lavorato”.

Qual è la differenza tra sport da combattimento e arte marziale? 
“Diciamo che lo sport da combattimento rappresenta l’aspetto pratico, combattimento al 100%; l’arte marziale invece, pur avendo una solida base di tecnica, è più ricca di filosofia e cultura. Diciamo pure che il massimo si ottiene quanto i due aspetti riescono a fondersi”.

La Kick boxing è una disciplina in cui la coordinazione tra braccia e gambe è di primaria importanza: è difficile da raggiungere?
“Si tratta solo di allenamento e pratica, oltre naturalmente ad una buona dose di tecnica ed esperienza che il maestro deve avere nel seguire i propri allievi; faccio un esempio: se si presenta da me in palestra un karateka è altamente probabile che abbia buone gambe, ma nessun lavoro sulla boxe; dapprima dunque inserirò le tecniche pugilistiche mancanti e poi piano piano procederò ad armonizzarle col resto. Dopo di che la pratica costante e continuata fa il resto”.

Quali sono gli attrezzi fondamentali per l’allenamento?
“Prima ancora degli attrezzi, abbiamo una grande preparazione globale: atletica, prepugilistica, pugilistica, preparazione tecnica e tattica specifica per il combattimento. Nel tempo poi ho personalizzato tutto questo anche con i pesi: a dire il vero io sono stato tra i primi, se non il primo, ad introdurre i carichi nell’allenamento: all’epoca si riteneva che utilizzare i pesi sottraesse qualcosa all’elasticità dell’atleta, lo rallentasse; io invece non ero d’accordo e avevo inoltre piacere di modellare il mio corpo. Oggi l’uso dei pesi è considerato irrinunciabile insieme all’allenamento funzionale che ho appreso negli Stati Uniti. Utilizziamo poi allenamento a corpo libero e con gli attrezzi e si cerca di variare molto anche attraverso circuiti. In ogni caso l’attrezzo che io considero fondamentale non fa parte di nessuno degli strumenti fin qui elencati, ma si tratta del sacco. Il re dell’allenamento è il sacco. I suoi impieghi sono tanto innumerevoli quanto insostituibili sia per la pugilistica che per i calci: fondamentalmente sostituisce l’avversario e ci consente, senza danneggiare alcuno, di allenare la forza, ma anche la velocità ed il ripasso delle tecniche”. 

Un tale impiego della forza richiede delle protezioni? 
“Si, esistono delle protezioni che sono obbligatorie in campo agonistico e durante l’allenamento: in primis il bendaggio alle mani e poi guantoni 10 once, para piedi, para tibie, conchiglia o para seno, para denti e caschetto”.

Esiste anche una preparazione psicologica specifica?  
“La preparazione psicologica può essere utile nel momento in cui si costruisce un incontro, ma devo dire che per chi fa uno sport da combattimento l’incontro con l’avversario è un fine spesso molto atteso; la voglia di combattere è una cosa innata, ma ciò non toglie che alcuni abbiano bisogno di essere caricati psicologicamente subito prima dell’incontro; io dal canto mio non ho mai avuto alcun timore, ma ho sempre atteso con trepidazione ogni incontro, quindi sono stato fortunato. A volte però può essere necessario un intervento e il Maestro in questo deve essere in grado di riconoscerne la necessità, deve essere anche un po’ psicologo oltre che punto di riferimento per l’allievo per l’allenamento”. 

Lei ha anche una grande esperienza come Direttore Tecnico della nazionale italiana, percorso che ha intrapreso ancor prima di interrompere la carriera agonistica: che cosa ha significato fare quest’esperienza per lei e per questo sport?
“Sono Direttore Tecnico della nazionale all’incirca dal 1990: ho attraversato questi ultimi trent’anni ricoprendo questo ruolo per varie federazioni che si sono avvicendate. Ho visto questo sport crescere nei numeri e nella qualità e ho sempre provato a indirizzare questo mondo verso la serietà soprattutto negli allenamenti e nella preparazione di coloro che devono insegnare. Diciamo che è mia opinione che il mondo dello sport abbia delle attinenze con quello della politica: se siamo governati da incapaci non possiamo andare avanti. Per questo dico sempre a tutti di documentarsi approfonditamente su chi li sta allenando”.

L’avvento del Covid che cosa ha provocato?
“C’è stata e c’è ancora molta paura tra la gente e questo ha inevitabilmente condizionato la vita in palestra. Durante il lockdown ho naturalmente sospeso le attività dell’associazione e chiuso la palestra; ho immediatamente provato a sopperire con delle iniziative che sfruttassero internet, ma non hanno avuto molto successo: il contatto fisico è insostituibile nel Full contact, come dice la parola stessa. Quindi, appena è stato possibile, ho organizzato degli allenamenti all’aperto, con pochi allievi. E poi abbiamo riaperto, ma tra mille difficoltà: la gente ha molta paura dei contagi e ad oggi abbiamo circa il 50% delle presenze in palestra nonostante siamo attenti a tutto e molto minuziosi nell’osservare le normative. Manca anche un po’ la motivazione dal momento che non è stato ancora dato il via libera alle gare regionali e nazionali. Purtroppo l’aiuto del Governo è stato davvero marginale e quindi la situazione economica non è buona”.

Lei è diventato Campione Italiano a 15 anni e Campione del Mondo la prima volta a 20 anni. Oggi, da maestro, lavora molto con bambini e ragazzi: quali sono i suoi insegnamenti ricordando il ragazzo che è stato? 
“Io sono cresciuto in borgata ed ho sfiorato ambienti pericolosi per un ragazzo, ma sono stato fortunato per due motivi: ho avuto una famiglia meravigliosa con solidi principi e valori e mi sono immerso nel mondo dello sport. Questi due fattori mi hanno tenuto lontano dai guai e hanno fatto di me l’uomo che sono diventato. Oggi lavoro nella stessa borgata in cui sono cresciuto e la cosa che ritengo più importante è tenere i ragazzi il più possibile lontani dalla strada e legarli all’ambiente sano della palestra. Ne ho visti tanti morire di droga. Più tempo trascorrono in palestra in maniera costruttiva e meglio è, almeno finché sono giovani. Ho avuto tra i miei allievi, delinquenti che sono diventati campioni, ma anche campioni o potenziali campioni che si sono persi. A mio parere la differenza la fanno i genitori: io ce la metto tutta, ma se non ho il supporto della famiglia, il mio sforzo è vano. La collaborazione dei genitori è fondamentale, come lo è stato per me da ragazzo: io posso fare poco se poi, fuori dalla palestra, tornando a casa, non c’è collaborazione. Per me l’appoggio della famiglia è stato importante”.

Quindi i suoi genitori l’hanno sempre incoraggiata in questo sport?
“Beh, la mamma inizialmente era timorosa, poi però ha cominciato a vedere i risultati, e quando si è fatta coraggio e mi è venuta a vedere ed è stata orgogliosa: ero pur sempre un bravo ragazzo che va a lavorare e che vince nello sport; ho fatto tanti mestieri per mantenermi fino a che sono diventato professionista nel 91: da dilettante si spendono soldi, mentre da professionista cominci a guadagnare un po’e quindi nei primi anni mi sono dovuto sostentare.  Sono riuscito a non ho perdere neanche il militare: l’ho fatto nel gruppo sportivo dell’esercito”.

Lo sport da combattimento, dunque, può essere anche uno strumento di inclusione sociale? 
“Lo è per sua natura e senza sforzo alcuno. Combattere sul ring ti tiene lontano dalla strada, aiuta a sfogare e controllare la propria aggressività, insegna a contenere la propria energia all’interno di regole precise e aiuta a trovare la forza di volontà necessaria a superare gli ostacoli”.

Parliamo delle donne negli sport da combattimento. 
“Ne ho diverse in palestra e ne ho avute anche molte che ho portato ad alti livelli: sono tra i miei allievi più forti e tenaci e due di loro sono state Campionesse del Mondo. Spesso arrivano in palestra soltanto per piacersi, per modellare il proprio fisico: poi vedono che riescono e ci prendono gusto. Rispetto ai loro colleghi uomini, sia a basso che ad alto livello, sono più propense al sacrificio, alla fatica, al dolore; non si tirano mai indietro, neanche di fronte a qualunque allenamento più duro. Spesso sono più carenti tecnicamente, ma possono contare su una grande tenacia perciò recuperano in fretta lavorandoci su”.

Bambini, adulti, donne: lo sport da combattimento serve a forgiare un po’ tutti; attendiamo di vedere quali saranno gli effetti dell’incontro con ASI, ma le aspettative non possono che essere… mondiali!
 

 
GIORGIO PERRECA. PALMARES
Campionati Italiani A.I.K.A.M. ORO 1979 Milano    
Campionati Mondiali W.A.K.O. ORO 1983 Londra Full Contact 63.5 kg
Campionati Mondiali W.A.K.O. ORO 1985 Budapest Full Contact 63.5 kg
Campionati Europei W.A.K.O. ORO Miglior atleta dei campionati 1986 Parigi Full Contact 63.5 kg
Campionati Mondiali W.A.K.O. BRONZO 1987 Monaco di Baviera Full Contact 63.5 kg
Campionati del Mediterraneo ORO 1987 Catania Full Contact 63.5 kg
Campionati del Mediterraneo ORO 1988 Palermo Full Contact 63.5 kg
Titolo Mondiale W.A.K.O. ORO 1989 (difeso 13 volte) Full Contact 63.5 kg
Campionati Mondiali W.A.K.O. BRONZO 1990 Mestre Full Contact 63.5 kg
Titolo Europeo W.A.K.O. ORO 1992 Kickboxing 63.5 kg
Titolo Mondiale I.K.L. ORO 1992 (prima difesa del titolo W.A.K.O.) Full Contact 63.5 kg


 

 
 
NASCITA ED EVOLUZIONE DELLA KICK BOXING
La Kick boxing è uno sport da combattimento relativamente giovane: affonda le sue origini nelle arti marziali giapponesi, ma la sua versione attuale nasce in USA nel 1974; essa combina le tecniche di calcio tipiche delle arti marziali con le tecniche di pugno della boxe. Nel 1974 Giorgio Perreca inizia a praticare l'allora Karate Contact (poi inserito nella Kickboxing col nome di Full Contact proprio per indicare le caratteristiche di pieno contatto e potenza delle tecniche portate) che si stava appena allora diffondendo in Italia a partire da Roma. 

Le specialità: full contact, semi contact, light contact

Full contact: è uno sport da combattimento che viene praticato sul ring; è permesso calciare al di sopra della cintura e sotto il malleolo con le spazzate; è permesso calciare anche interno ed esterno cosce dell’avversario. Tutte le tecniche della boxe sono ammesse, mentre sono vietati (come nella boxe) colpi alla nuca, alla schiena, alle gambe. Quindi nel full contact si calcia al di sopra della cintura e si boxa come nel pugilato. Nel full contact la preparazione fisica è più importante che nelle altre specialità perché qui è consentita la vittoria per KO (cioè quando uno dei due combattenti subisce un colpo che gli rende impossibile proseguire).

Semi contact: specialità a punti espletata sul tatami in cui è consentito colpire solo se il colpo viene fermato prima di arrivare. Ammesse tutte le tecniche del full contact, ma con morbidezza, scioltezza e velocità escludendo la potenza.

Light contact: il combattimento è continuo e segue le regole del full contact, ma, come nel semi contact, i colpi devono essere sferrati con velocità e precisione, mai con potenza.
 

 

[  Chiara Minelli  ]
 
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