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22.10.2016

Sport

| Atletica Leggera

Doping di Stato

La Russia, è ormai certo, per anni ha somministrato ai propri atleti sostanze illecite con la connivenza dello Stato che dalle vittorie degli atleti traeva enormi ritorni di immagine. Ma non si tratta di un caso isolato. Sono molti i Governi che hanno usato e strumentalizzato lo sport per i propri fini propagandistici. 

Sul magazine ASI Primato una riflessione di Marco Cochi per comprendere meglio il problema.
 


IL DOPING DI STATO IN RUSSIA. IL DOSSIER WADA 2016

Uno dei casi più eclatanti e recenti di quanto lo sport sia legato al potere politico è la vicenda del doping di Stato in Russia. Un dossier di 320 pagine della WADA (Agenzia mondiale antidoping), pubblicato il 9 novembre 2015, accusa in primis il ministero dello sport russo per connivenza con l’FSB (erede del più noto KGB) che insieme a organismi minori, si sono attivati su più piani per un sistematico ricorso a pratiche chimiche di miglioramento delle prestazioni dei propri atleti. 

Secondo il rapporto, gli sportivi russi sono stati coperti dall’apparato politico della Federazione russa che ha favorito il ricorso al doping in più discipline per raggiungere il massimo dell’efficienza nelle manifestazioni ospitate in casa, come i Giochi invernali di Sochi 2014 e i Mondiali di nuoto di Kazan dell’anno scorso.
Nella relazione è anche spiegato che il problema va oltre Sochi e Kazan e sarebbe sistematicamente generalizzato a 312 casi, che hanno coinvolto tutto lo sport russo. Un sistema iniziato alle Olimpiadi di Vancouver nel 2010 che ha avuto effetti anche ai Giochi di Londra 2012 e ai mondiali di atletica di Mosca 2013.
Tutti ricordano come negli anni della guerra fredda il doping era d’uso nei Paesi dell’Est Europa e la pratica si è trascinata fino ai giorni nostri per dimostrare che la Russia dei Giochi di Sochi non fosse solo tecnologia, impianti straordinari e organizzazione perfetta, ma anche terra di grandi campioni, però non autentici.

COREA DEL NORD: LO SPORT PIEGATO ALLA POLITICA

Quanto lo sport e la politica siano indissolubilmente legati, lo dimostra quello che avviene in uno dei più tirannici degli odierni regimi, quello della Corea del Nord. Lo testimonia l’inviato della BBC Tim Hartley, che nel maggio 2013 ha raccontato come si svolge un incontro di calcio nel Regno Eremita (possibile leggere l’articolo qui).
Hartley descrive un match disputato allo stadio Kim II-sung, inaugurato nel lontano 1926 durante l’occupazione giapponese della Corea, quando era conosciuto come stadio Girimri.

Il cronista riporta di una partita disputata in un’atmosfera surreale enormemente differente da quella che caratterizza gli incontri nel resto del mondo: “Lo stadio intitolato al padre della patria è un impianto da 50mila posti per accedere al quale non ci sono né code né tornelli. Sugli spalti siedono in silenzio tombale file di uomini con indosso identici abiti scuri e cravatte rosse e nessuno porta bandiere o sciarpe in vista, però tutti gli spettatori hanno una spilla appuntata sul petto, che non ritrae il distintivo della squadra locale, il Pyongyang FC, ma l’immagine del grande leader Kim II-Sung. Sorprendentemente nessuno ha fiatato né tantomeno esultato, quando il Pyongyang ha infilato un calcio di rigore nella rete degli avversari dell’Amrokgang”.

Il match si concluse poi con la vittoria della squadra di casa, ma Tim Hartley riporta che sarebbe stato impossibile capirlo dalla reazione della folla, che per tutto l’incontro non si è mai scomposta. Tantomeno nessuna emozione traspariva sui volti dei soldati e dei fedeli di partito mentre marciavano in silenzio fuori lo stadio.

L’essenza della propaganda calcistica nordcoreana trapela tutta in un intervista rilasciata nel maggio 2014 al quotidiano britannico “The Guardian” dal portiere del Pyongyang City e della Nazionale, RiMyong-guk .

L’estremo difensore racconta: “La finale di Coppa in Corea del Nord non ha eguali, metà dei posti nello stadio sono per i civili, che in estate indossano tutti cappelli bianchi, camicie bianche e cravatte rosse, mentre l’altra metà è per i soldati. Gli steward controllano i tifosi con delle bandierine, istruendoli su quando cantare o acclamare e dopo ogni gol la folla applaude all’unisono. Poi, se il leader supremo è presente tutta la squadra che ha segnato si precipita dinnanzi a lui per salutarlo”.

ANCHE IL NAZISMO USO' LO SPORT A FINI POLITICI

Un altro regime che ha utilizzato lo sport per esaltare la propria immagine è stato quello nazista. Una delle prove più evidenti di quanto la pratica sportiva fosse funzionale all’affermazione del popolo ariano è il famoso film “Olympia”, il primo in assoluto sulle Olimpiadi.

Il lungometraggio fu girato dalla regista tedesca Leni Riefenstahl per documentare i Giochi di Berlino del 1936, ma anche per riflettere sul loro significato e celebrare i numerosi successi sportivi conseguiti durante la manifestazione dagli atleti tedeschi.

Gli ideologi del Terzo Reich commissionarono la pellicola alla cineasta tedesca nella consapevolezza che i Giochi potevano diventare un formidabile mezzo di propaganda sul piano politico e un palcoscenico ideale per mostrare la superiorità della razza ariana rispetto alle altre.
Il documentario riuscì pienamente nel primo intento sperimentando innovative tecniche di ripresa. La sua realizzazione richiese quasi due anni durante i quali la Riefenstahl dovette visionare i più di 400mila metri di pellicola di girato, selezionare le scene del film e montarle.
La propaganda del regime nazista condizionò anche il calcio. Già nel 1933, pochi mesi dopo l’avvento di Hitler al potere, furono esclusi dal campionato tedesco tutti i giocatori, proprietari di club, sponsor e giornalisti di origine ebraica.

Emma Anspach e HilahAlmog, nel saggio “Nazi Philosophy and Sport”, scritto nel 2009, osservano che il calcio fu utilizzato strategicamente da Hitler anche per promuovere la sua politica. Secondo i due studiosi, l’ascesa di Hitler, cominciata nel 1924, coincise con l’affermazione del football come uno degli sport più popolari in Germania, mentre, dopo l’epurazione degli ebrei, la ‘DeutscherFussball-Bund’ (DFB, la nazionale tedesca) diventò uno strumento per trasmettere il sostegno del popolo germanico al regime nazista.

Diverse regole furono introdotte dalla DFB dell’epoca per sostenere il rafforzamento del regime, come l’obbligo per le squadre avversarie di eseguire il saluto nazista prima di ogni partita. In alcune occasioni, però, tale imposizione fu causa di problemi, come accadde il 14 maggio del 1938, quando la Nazionale di calcio inglese si trovò a giocare un amichevole contro la Germania davanti ai centomila spettatori che gremivano l’Olympiastadion di Berlino.

Alla partita erano presenti i più importanti gerarchi nazisti come Hermann Goering, Rudolf Hess e Joseph Goebbels e soprattutto per questo l’incontro avrebbe dovuto aprirsi con una potente celebrazione politica. Così, nei momenti precedenti alla gara, quando furono intonate le prime note dell’inno nazionale tedesco, i giocatori inglesi alzarono le braccia dritte al cielo per il saluto nazista.

Il giornalista sportivo Jim Weeks ha scritto sulle pagine di Vice Sports, che sebbene siano passati quasi ottant’anni, i britannici non hanno mai digerito il diktat del saluto al Fuhrer. Weeks ricorda che i giocatori inglesi erano stati preparati prima della gara rispetto al fatto che avrebbero dovuto eseguire il saluto nazista. Nonostante l’ordine provenisse direttamente dal Foreign Office, la squadra inizialmente intendeva rifiutarsi di elevare le braccia al cielo prima della partita.

I calciatori inglesi furono poi convinti dall’ambasciatore britannico dell’epoca in Germania, Sir Neville Henderson, che insieme all’allora segretario della Football Association inglese Sir Stanley Rous (dal 1961 al 1974 presidente della FIFA), ricordarono agli atleti che il loro diniego poteva influire sull’andamento delle relazioni anglo-tedesche, già logorate dall’Anschluss e dalla crisi dei Sudeti. 

L’attaccante inglese Stanley Matthews, il primo pallone d’oro della storia, che fu tra i marcatori nella vittoria per 6-3 dell’Inghilterra, ricordò: “Tutti i giocatori dell’Inghilterra erano lividi e totalmente contrari al saluto nazista, me compreso”.

Del resto lo sport è sempre stato fin dalle origini una componente della politica. La riprova è che durante lo svolgimento dei Giochi olimpici nell’antichità le guerre erano sospese. Nell’epoca contemporanea è avvenuto il contrario e le manifestazioni sportive internazionali spesso hanno rappresentato un surrogato ai conflitti armati, come dimostrato dal massacro degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco.

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