16.07.2020
Istituzionale
Storie di donne e uomini che non si sono mai arresi…
Dopo aver raccontato con Le sfide dei campioni gli ultimi sessant’anni di storia d’Italia, Federico Vergari firma un nuovo libro di storytelling sportivo. Anche in questo caso lo sport è un un linguaggio universale per raccontare altro.
Nel libro l’autore raccoglie in venti brevi biografie le vite di alcuni atleti che non si sono mai arresi e cattura l’attimo in cui davanti a un ostacolo, quando sarebbe stato più facile mollare tutto, si sono rimboccati le maniche e sono ripartiti. La vita era in debito e loro le hanno presentato il conto. Da Marco Pantani ad Assunta Legnante, da Michael Jordan a Nuvolari, passando per Lomu e Zanardi. E proprio su Lomu, l'intro del capitolo è stato curato dal nostro Claudio Barbaro.
Tra infortuni, guerre, conflitti interni e incidenti i protagonisti di questo libro hanno saputo trovare in sé stessi le motivazioni per riscrivere la propria esistenza laddove la maggior parte di noi avrebbe semplicemente scritto la parola fine. Esce nell’anno dei giochi di Tokyo e molti dei suoi protagonisti avranno la chance di regalarci delle emozioni olimpiche.
Presentazione al centro sportivo delle Tre Fontane alla presenza del Presidente del CIP, Luca Pancalli, dell'autore e dell'editore Giovanni Di Giorgi.
(La copertina del libro)
(Con il previsto distanziamento sociale, si è svolta al centro sportivo CIP delle Tre Fontane, la presentazione del libro. Da sinistra, il giornalista RAI e prefattore dell'opera Sandro Fioravanti, la Campionessa europea Tuffi Chiara Pellacani, il Presidente del CIP Luca Pancalli, l'autore Federico Vergari e Luca Zavatti per la Federazione Italiana Calcio Amputati. Moderatore Fernando Mascanzoni. Letture di Simone Giacinti. A fare da padrone di casa e introdurre la conferenza, Giovanni Di Giorgi Direttore Editoriale Lab DFG)
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Dalla prefazione del capitolo
L’Haka è una danza tipica del popolo Maori, l’etnia originaria della Nuova Zelanda.
Comunica emozioni. Ascoltare o eseguire l’Haka significa rendere omaggio alla vita, anche se viene eseguita a un funerale. Negli anni, grazie alla televisione e all’emozione che suscita negli stadi, è diventata una liturgia pop consumata prima di ogni incontro degli All Blacks, la nazionale di Rugby neozelandese.
Già, il Rugby. Lo sport di Lomu il simbolo di una nazione. Provate a chiudere gli occhi e a immaginarvelo con una maglia diversa da quella nera della Nuova Zelanda. Ce la fate? La risposta è abbastanza immediata ed è probabilmente negativa.
Quello che avviene a metà anni Novanta in Nuova Zelanda è una totale unione tra l’uomo e la nazione. Pensate a Pelè con una maglia diversa da quella del Brasile. Esistono foto e immagini è vero, come del resto ne esistono per Lomu, ma l’immaginario collettivo è per fortuna qualcosa di diverso da una ricerca su Google.
Lomu è la Nuova Zelanda e viceversa, la Nuova Zelanda è Jonah Lomu. È l’atleta che ha cambiato il mondo del rugby. Forse è l’atleta che più di ogni altro è riuscito a cambiare uno sport, scrive con sapienza e passione Federico Vergari in un libro in cui l’autore raccoglie in venti brevi biografie le vite di alcuni atleti che non si sono mai arresi e cattura l’attimo in cui davanti ad un ostacolo, quando sarebbe stato più facile mollare tutto, si sono rimboccati le maniche e sono ripartiti. Da Marco Pantani ad Assunta Legnante, da Michael Jordan a Tazio Nuvolari, passando per Novak Djokovic e Alex Zanardi. Tra infortuni, guerre, conflitti interni e incidenti i protagonisti di questo libro hanno saputo trovare in sé stessi le motivazioni per riscrivere la propria esistenza laddove la maggior parte di noi avrebbe semplicemente scritto la parola fine.
“È la fine del 1996 – si legge nel capitolo del libro dedicato a Lomu, introdotto da un inciso chiesto al nostro Presidente Claudio Barbaro – quando a Jonah Lomu, quello che sembrava un giovane e indistruttibile campione di rugby, viene diagnosticata una rara forma di nefrite. Passerà tutto l’anno successivo fuori dai campi cercando di curarsi. Rientra nel 1998 in tempo per il mondiale. La corsa della Nuova Zelanda stavolta si ferma in semifinale contro la Francia.
Lomu ancora una volta sarà uno dei giocatori più significativi del torneo. Tutti lo vogliono, soprattutto in Europa farebbero carte false per poterlo ingaggiare, ma lui vede il Rugby come una questione identitaria. E per questo sceglie di non muoversi e di continuare a giocare in Nuova Zelanda, cercando di dare il meglio per la sua nazione e per la sua nazionale. Lomu continua la sua carriera, alternando alti e bassi e ricadute della malattia. Poi, nel 2003, per la prima volta fu costretto alla dialisi. Tornerà ancora in campo, ma nel 2004 deve confrontarsi con l’operazione che aveva fino a quel momento scansato come un avversario sulla linea laterale. Il trapianto di rene. Lomu torna ancora una volta in campo, non si arrende, e poiché non trova un contratto in Nuova Zelanda sceglie l’Europa, sceglie il Galles. Poi ancora Nuova Zelanda, dove torna a calcare i terreni di un campionato provinciale con il North Harbour. Nell’ottobre del 2011 è reso noto che il rene trapiantato a Lomu sette anni prima stava dando cenni di cedimento. L’ex giocatore si sottopone nuovamente a dialisi e a una terapia conservativa, ma era chiaro a tutti che sarebbe stato necessario un nuovo trapianto. Operazione che però non arrivò mai.
In Inghilterra, in occasione della Coppa del Mondo del 2015, un Lomu consunto e provato dalla malattia partecipò in qualità di testimonial. Una volta rientrato ad Auckland, la mattina del 18 novembre, il suo cuore, forse affaticato dal viaggio, andò in arresto.
Il 30 novembre il suo feretro fu esposto all’Eden Park di Auckland, dove gli All Blacks hanno scritto alcune delle più belle pagine della loro storia. Lì ricevette il pubblico omaggio del suo popolo, dei suoi tifosi, dei suoi colleghi. Erano tutti vestiti di nero, ma nero quel giorno non significava lutto. Il nero in quel preciso momento all’Eden Park significava altro. Significava vita. Nel silenzio assordante dello stadio parte un’Haka. Emozionante, da brividi”.
[ Fabio Argentini ]
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