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05.07.2015

Istituzionale

Le collaborazioni sportive dilettantistiche e il Jobs act

Riportiamo integralmente un conributo dell'Avvocato Guido Martinelli  sulla rivista telematca Ecnews in cui viene effettuata una riflessione sul provvedimento normativo meglio noto come Jobs Act in relazione alle collaborazioni sportive dilettantistiche.

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Cercare, nella legge 183/2014 e nei suoi decreti attuativi fino ad oggi emanati (quel complesso di provvedimenti che, con un termine assai poco giuridico, viene denominato Jobs act) una risposta ai molteplici interrogativi che pone l’inquadramento, sotto il profilo della disciplina del diritto del lavoro, delle prestazioni sportive dilettantistiche o, come riporta la norma, delle “collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche” è lavoro arduo e difficile.

 
La scelta di fondo del legislatore, sulla base già della c.d. riforma “Fornero” è palese. Il decreto che reca la disciplina organica dei contratti di lavoro di recentissima definitiva approvazione recita al suo articolo 1: “Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”.
 
Non vi è quindi dubbio, visto anche l’incipit dell’art. 67 del Tuir, che in tutti quei casi in cui nella collaborazione sportiva dilettantistica si presenta l’etero – direzione da parte del datore di lavoro con conseguente subordinazione gerarchica ci si trovi di fronte ad un rapporto di lavoro dipendente ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2094 del codice civile.
 
Analogamente ove la prestazione venisse svolta in via principale, ancorché non esclusiva, in favore di più fruitori ci troveremmo di fronte al classico esercizio di arti e professioni di cui all’art. 2222 codice civile con conseguente assoggettamento ad imposte e gestione previdenziale del rapporto.
 
Concentriamoci, invece, su quelle prestazioni (sicuramente maggioritarie) che vengono svolte con modalità riconducibili all’area che era stata occupata prima dalle collaborazioni coordinate e continuative e poi da quelle a progetto.
Per questa fattispecie trova applicazione il primo comma dell’art. 2 del già citato decreto che stabilisce che: “si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro”.
 
Pertanto ci troviamo di fronte ad un “restringimento” dell’area della individuazione del rapporto di lavoro come autonomo. Infatti, pur in assenza della etero – direzione, quando sussiste la etero – organizzazione comunque si dovranno applicare le norme sul rapporto di lavoro subordinato. Tale disposizione non si applica (art. 2 comma d): “alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle Federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I. come individuati e disciplinati dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289”.
 
Ma, primo problema, cosa accade a quelle collaborazioni che hanno le medesime caratteristiche (e il medesimo inquadramento sotto il profilo fiscale) rese direttamente in favore del Coni o delle Federazioni e degli enti di promozione sportiva (o, cambiando genere, rese in favore di cori, bande e filodrammatiche, anch’esse riconducibili all’art. 67 primo comma lett. m. del Tuir)? 
 
Non vi è dubbio che l’eccezione normativa, proprio perché tale, debba avere una interpretazione letterale e tassativa. Ci potremmo, quindi, trovare di fronte ad una riconducibilità ai rapporti di lavoro subordinato di tutte queste prestazioni le cui modalità di svolgimento rientrino tra quelle sopra descritte e che siano rese in favore del Coni, delle Federazioni sportive nazionali o degli enti di promozione sportiva? Il rischio, ad avviso di chi scrive è alto.
 
Va, dall’altra parte detto, invece, che tale esclusione in favore dei sodalizi sportivi dilettantistici sembra ricondurre, in loro favore, una presunzione di autonomia delle prestazioni d’opera che con le medesime vengono poste in essere. Autonomia che, però, rischia di rimanere una sorta di vittoria di Pirro se non trova definitiva soluzione la problematica di carattere previdenziale. Infatti, sotto tale profilo, per le attività sportive la distinzione tra lavoro autonomo e subordinato è parzialmente priva di significato in quanto, in entrambi i casi, trovano applicazione le medesime aliquote contributive (33%).
 
Il problema, quindi, diventa sapere se dette collaborazioni siano integralmente riconducibili alla previsione di cui all’art. 67, comma 1, lett. m, del Tuir, (espressamente richiamato dal comma 3 dell’art. 90 della legge 289/02) e, come tali, in quanto redditi diversi, non soggetti a contribuzione oppure alla previsione di cui all’art. 50, comma 1, lett. c–bis, del Tuir e, come tali, soggette a contribuzione?
 
Il tenore letterale della norma sembra faccia propendere per la prima ipotesi ma un urgente chiarimento appare necessario.
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