Notizie
20.09.2016
Istituzionale
La Guardia di Finanza sulla riforma del Terzo Settore
Il Comando Generale della Guardia di Finanza ha recentemente emanato una circolare, indirizzata ai Reparti locali, contenente considerazioni sulla Legge Delega n. 106/2016 per la riforma del Terzo Settore, mondo ormai inserito a regime nei programmi di controllo tributario.
Nell'introduzione del documento è rammentata, con il consueto rigore lessicale, l'azione del Corpo tesa a contrastare soprattutto i due principali profili di illegalità:
a) quello tributario, in riferimento ai soggetti che solo formalmente hanno i requisiti per fruire delle agevolazioni di legge ma che in realtà svolgono attività di impresa dietro loschermo fittizio della non commercialità. Ciò basta per rammentarci ancora una volta che non dobbiamo mai ritenere bastante uno statuto ben fatto o l'iscrizione ad un registro (Onlus, A.p.s., Coni, ecc.) per consentirci di ridurre o azzerare la tassazione: dobbiamo sempre dimostrare di averne diritto coi fatti e con l'attività concretamente svolta.
b) quello economico-finanziario, relativamente a soggetti che falsamente perseguono finalità solidaristiche ma che in realtà truffano i cittadini, coprono traffici delittuosi, deviano a proprio vantaggio fondi pubblici destinati a beneficio della collettività. Dunque, anche un “cinque per mille” pervenuto e speso con modalità difformi da quelle di legge, o da soggetto sprovvisto dei requisiti formali e sostanziali tipici del no-profit, può diventare molto pericoloso; riflettiamo se non versare imposte per effetto di un'agevolazione non spettante possa essere tradotto in comportamento delittuoso, trattandosi di gettito erariale sottratto alla naturale funzione di finanziare i bisogni della collettività.
La parte introduttiva della circolare conclude confermando che dalla programmazione dei controlli al Terzo Settore è auspicabile un ritorno “di cassa” per lo Stato (“obiettivo predeterminato in tema di attività ispettive”).
Proseguendo la lettura del documento emerge un'importante affermazione: “il comparto è regolato da una legislazione frammentata e disorganica, contenuta solo in minima parte nel codice civile”. Traduco: a) il principale Organo deputato ai controlli tributari la pensa come noi addetti ai lavori in materia di normazione sugli enti non commerciali; b) è principalmente da tale criticità che deriva la proliferazione di figure giuridiche del Terzo Settore regolamentate da singoli provvedimenti che si sono collocati nei vuoti normativi generando disomogeneità legislativa e interpretativa.
Il testo si inserisce poi nel contenuto della Legge Delega e ne estrae concetti precisi con cui arriva rapidamente a far capire che l'ambito operativo in cui può lecitamente crescere il no-profit passa dall'iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata (dunque non necessariamente adottando il modello associativo: apertura per le società di capitali? vedi parentesi successiva), a perseguire il bene comune (dove “comune” significa non a beneficio dei soli fondatori o di quel ristretto nucleo di persone che di fatto esercitano il controllo: stoccata contro le società di capitali? vedi parentesi precedente) e ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo l'inclusione e il pieno sviluppo della persona.
Emergono i principali connotati del concetto di utilità sociale: condivisione e autoconsumo del patrimonio istituzionale fra tutti i soggetti facenti parti di una comunità coinvolta in modo attivo e paritetico.
Poco dopo, la Circolare ben evidenzia la definizione di Terzo Settore data dalla Legge Delega: “complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza coi rispettivi statuti, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualitào di produzione e scambio di beni e servizi”. Proviamo a tradurre: il Terzo Settore è l'ambito in cui i cittadini, portatori di diritti costituzionali, si aggregano rinunziando a benefici economici individuali, con obiettivi di condivisione e autoconsumo, e assieme organizzano, promuovono e realizzano (non basta la forma, è necessario realizzare!) attività di interesse generale basate su volontariato, reciprocità, produzione/scambio di beni e servizi, senza necessità che per la soddisfazione dei loro bisogni intervenga lo Stato.
Si noterà come la stessa definizione di Terzo Settore assorba la nozione civilistica di imprenditore (art. 2082 c.c.) laddove contempla (consente!) che il no-profit possa basarsi su attività di “produzione e scambio di beni e servizi”: il passaggio non è affatto banale, dato che è lo stesso Legislatore (i) ad ammettere come il Terzo Settore possa “fare impresa” e (ii) a non precisare che occorra mantenere la prevalenza dell'attività no-profit. Si auspica che questa pronunzia possa contribuire a risolvere i frequenti contenziosi che sorgono a seguito di controlli a sodalizi “colpevoli” di svolgere (anche) attività commerciale, da cui il disconoscimento del modello associativo anche in assenza di una ripartizione ancorché indiretta di utili.
Fra i criteri di indirizzo giuridico dati dalla Legge Delega che potrebbero addirittura influire (finalmente) sul Libro Primo del Codice Civile, vi è molta aspettativa in ordine alle formalità da osservare nella redazione degli statuti, negli adempimenti di pubblicità dei rendiconti, nella tutela del patrimonio degli enti anche in rapporto con quella dei creditori (la coperta troppo corta?): il Legislatore sta dicendoci che è l'ora di finirla con l'approssimazione di bilanci fai-da-te e con procedure autoctone di gestione contabile e finanziaria, mettendo a tacere chiunque voglia continuare inutilmente a difendere il proprio orticello in nome di un improbabile risparmio di costi (piattaforme contabili dotate di un livello minimo di affidabilità e sostenibilità sono ormai disponibili ovunque) e al contempo ammicca al fatto di non ritenere peregrino chiedere al professionismo contabile di andare incontro alle esigenze finanziarie di enti con ridotte disponibilità economiche: credo si possa fare.
La Circolare prosegue nell'analisi della Legge Delega e pare accorgersi di un altro importante dettame finora mai recepito dalla disciplina fiscale: se è vero che l'articolo 18 della Costituzione dà ai cittadini pieno diritto di associarsi, è giusto che il Governo sia stato delegato aprevedere per essi le più ampie condizioni di accesso a qualunque organizzazione del Terzo Settore, da cui l'evidente apertura al diritto di accrescere la base associativa secondo procedure di ammissione ai sodalizi snelle e dinamiche, non sterilmente legate a ciclostilate riunioni di consigli direttivi.
A tal proposito rammento che la matrice ispiratrice delle contestazioni fiscali sulle procedure di ammissione è da ricercare in un fatto tragico avvenuto a inizio degli anni ottanta – l'incendio ai locali di un cinema piemontese – che provocò numerose vittime, da cui il Ministero degli Interni trasse spunto per prevedere più rigorose norme antincendio che furono imposte (Circ. 14/6/1984 n. 12388/4109) anche a talune categorie di locali ricreativi e associativi (fino ad allora con attenuati obblighi legati alla sicurezza dei locali) con procedure di ammissione inesistenti o estremamente “deboli” (tessera rilasciata immediatamente o comunque senza particolari formalità) tanto da poter essere per questo definiti “locali pubblici” o “pubblici esercizi”: il concetto venne immediatamente adottato anche dall'allora Ministero delle Finanze, che lo introdusse nelle istruzioni operative di controllo ai circoli associativi fino ad elevarle al rango di prassi consolidata, successivamente confluita nel principio di commercialità della quota associativa qualora riscossa dall'ente prima del provvedimento di ammissione dell'aspirante socio.
Altra questione su cui la Circolare pone attenzione è il fatto che la Legge Delega indirizza il Governo sul confermato divieto di distribuzione degli utili, degli avanzi di gestione, delle riserve e del patrimonio: non muterà dunque il caso pratico del socio che recede dalla Ssdrl cui è negato il rimborso del valore economico della propria quota, previsto dall'art. 2473 comma 3 c.c. ma proibito dal comma 8 lett. a) dell'art. 148 del Dpr 917/86 in quanto distribuzione indiretta di utili e riserve, ma neppure quello dello stesso socio recedente che ambisca a riprendersi almeno la quota di capitale sociale a suo tempo versata, procedura anch'essa vietata dall'anzidetta norma in quanto distribuzione di capitale.
In realtà, il divieto di distribuzione di utili appena analizzato subisce un'innovativa apertura: l'eccezione al predetto divieto per l'impresa sociale. Il passaggio culturale potrebbe avere un valore storico davvero unico, poiché se fosse effettivamente accolto nei Decreti delegati si assisterebbe alla sostituzione normativa del concetto semantico di “no-profit” (divieto di profitto imposto da una norma) con quello di “non-profit” (attività che non prevedono profitto distinte da quelle che lo prevedono). Dal lato tributario si aprirebbe un varco destinato alla legittima remunerazione del capitale anche nel terzo settore, forse ammettendo l'impossibilità di normare con la dovuta precisione le varie forme retributive del lavoro prestato nel Terzo Settore se non ispirandosi al Jobs Act dove è rigidamente affermata la preminenza – salvo differenti casistiche debitamente documentate – del lavoro dipendente.
Mi chiedo se, affermandosi l'impresa sociale, dovremmo poi attenderci una revisione della cooperativa sociale e della società di capitali sportiva dilettantistica: chissà.
L'anzidetto passaggio culturale (e normativo) ad un modello gestionale che possa prevedere una distinzione fra attività che generano profitto(distribuibile) e altre che invece non lo generano appare confermata da un successivo indirizzo della Legge Delega in cui è prevista la separazione contabile e bilancistica delle attività di impresa da quelle istituzionali: la quadratura del cerchio, colta dalla Circolare della Guardia di Finanza.
E si giunge così ad un altro aspetto che sta generando aspettativa non del tutto positiva nel mondo delle piccole associazioni: la previsione degli obblighi di controllo interno, di rendicontazione, di trasparenza e di informazione nei confronti degli associati, dei lavoratori e dei terzi (i principali stakeholders), obblighi da graduarsi secondo le dimensioni dell'ente e tenendo conto dell'eventuale impiego o meno di risorse pubbliche; non da meno sono gli ulteriori obblighi legati alla periodica verifica dell'attività svolta e delle finalità perseguite. Il quadro d'insieme è volto ad avviare un sistema dove niente possa più essere affidato al caso, all'intuito, all'improvvisazione, all'approssimazione, magari al dolo: giusto introdurre forme di controllo da parte di soggetti esterni che verrebbero (si badi bene) coinvolti personalmente nelle responsabilità derivanti da illecito svolgimento di attività “no-profit” (o “non-profit”) o da indebita fruizione di contributi pubblici; giusto altresì tener conto delle dimensioni economiche dell'ente per stabilire se esso debba o meno rientrare nelle nuove previsioni normative (personalmente porrei tuttavia ulteriori criteri per valutare il dimensionamento: investimenti patrimoniali, indebitamento, riconducibilità ai medesimi soggetti per evitare indebite atomizzazioni esentive, ecc.).
Queste ultime considerazioni spero possano fornire uno spunto riflessivo, onesto e sereno, a quella parte del mondo associativo che non vorrebbe alcuna ingerenza da parte di professionisti esterni, ritenendo che tale previsione normativa avrebbe una matrice “lobbistica” e non economica-giuridica: come la Guardia di Finanza riporta ad inizio della Circolare, il Terzo Settore è uno dei più dinamici del sistema produttivo nazionale, con un incremento nel decennio 2001-2011 del 28% delle organizzazioni attive, con oltre trecentomila entità giuridiche (il 6,4% delle unità economiche attive) che impiegano 4,7 milioni di volontari e circa un milione di lavoratori; sono i numeri che parlano, non è più possibile lasciare il settore abbandonato alla scarna normativa attuale, a consuetudini gestionali che si sono rivelate (soprattutto da metà degli anni duemila, quando si sono intensificati i controlli fiscali e previdenziali) insufficienti e incapaci di dimostrare la buona fede e il buon operato degli enti controllati, a intuizioni e improvvisazioni che niente hanno a che fare con la gestione di flussi di denaro ancorchè di ridotta entità, a “dilettantismi” (già: sembra un paradosso, vero?) che hanno dimostrato una pericolosa debolezza nei rapporti di lavoro, nella contabilizzazione dei fondi pubblici pervenuti, nella conduzione di impianti comunali, nella fruizione di agevolazioni fiscali senza capacità di dimostrarne il relativo diritto.
Proviamo dunque a cambiare, a innovarci.
Intanto, come conclude la Circolare, la Guardia di Finanza resta Organismo legittimato ad operare controlli di ogni ordine e grado anche se le funzioni di vigilanza e monitoraggio vengono affidate dalla Legge Delega al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che in effetti si attrezza distaccando e potenziando il proprio dipartimento ispettivo.
Nell'introduzione del documento è rammentata, con il consueto rigore lessicale, l'azione del Corpo tesa a contrastare soprattutto i due principali profili di illegalità:
a) quello tributario, in riferimento ai soggetti che solo formalmente hanno i requisiti per fruire delle agevolazioni di legge ma che in realtà svolgono attività di impresa dietro loschermo fittizio della non commercialità. Ciò basta per rammentarci ancora una volta che non dobbiamo mai ritenere bastante uno statuto ben fatto o l'iscrizione ad un registro (Onlus, A.p.s., Coni, ecc.) per consentirci di ridurre o azzerare la tassazione: dobbiamo sempre dimostrare di averne diritto coi fatti e con l'attività concretamente svolta.
b) quello economico-finanziario, relativamente a soggetti che falsamente perseguono finalità solidaristiche ma che in realtà truffano i cittadini, coprono traffici delittuosi, deviano a proprio vantaggio fondi pubblici destinati a beneficio della collettività. Dunque, anche un “cinque per mille” pervenuto e speso con modalità difformi da quelle di legge, o da soggetto sprovvisto dei requisiti formali e sostanziali tipici del no-profit, può diventare molto pericoloso; riflettiamo se non versare imposte per effetto di un'agevolazione non spettante possa essere tradotto in comportamento delittuoso, trattandosi di gettito erariale sottratto alla naturale funzione di finanziare i bisogni della collettività.
La parte introduttiva della circolare conclude confermando che dalla programmazione dei controlli al Terzo Settore è auspicabile un ritorno “di cassa” per lo Stato (“obiettivo predeterminato in tema di attività ispettive”).
Proseguendo la lettura del documento emerge un'importante affermazione: “il comparto è regolato da una legislazione frammentata e disorganica, contenuta solo in minima parte nel codice civile”. Traduco: a) il principale Organo deputato ai controlli tributari la pensa come noi addetti ai lavori in materia di normazione sugli enti non commerciali; b) è principalmente da tale criticità che deriva la proliferazione di figure giuridiche del Terzo Settore regolamentate da singoli provvedimenti che si sono collocati nei vuoti normativi generando disomogeneità legislativa e interpretativa.
Il testo si inserisce poi nel contenuto della Legge Delega e ne estrae concetti precisi con cui arriva rapidamente a far capire che l'ambito operativo in cui può lecitamente crescere il no-profit passa dall'iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata (dunque non necessariamente adottando il modello associativo: apertura per le società di capitali? vedi parentesi successiva), a perseguire il bene comune (dove “comune” significa non a beneficio dei soli fondatori o di quel ristretto nucleo di persone che di fatto esercitano il controllo: stoccata contro le società di capitali? vedi parentesi precedente) e ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo l'inclusione e il pieno sviluppo della persona.
Emergono i principali connotati del concetto di utilità sociale: condivisione e autoconsumo del patrimonio istituzionale fra tutti i soggetti facenti parti di una comunità coinvolta in modo attivo e paritetico.
Poco dopo, la Circolare ben evidenzia la definizione di Terzo Settore data dalla Legge Delega: “complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza coi rispettivi statuti, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualitào di produzione e scambio di beni e servizi”. Proviamo a tradurre: il Terzo Settore è l'ambito in cui i cittadini, portatori di diritti costituzionali, si aggregano rinunziando a benefici economici individuali, con obiettivi di condivisione e autoconsumo, e assieme organizzano, promuovono e realizzano (non basta la forma, è necessario realizzare!) attività di interesse generale basate su volontariato, reciprocità, produzione/scambio di beni e servizi, senza necessità che per la soddisfazione dei loro bisogni intervenga lo Stato.
Si noterà come la stessa definizione di Terzo Settore assorba la nozione civilistica di imprenditore (art. 2082 c.c.) laddove contempla (consente!) che il no-profit possa basarsi su attività di “produzione e scambio di beni e servizi”: il passaggio non è affatto banale, dato che è lo stesso Legislatore (i) ad ammettere come il Terzo Settore possa “fare impresa” e (ii) a non precisare che occorra mantenere la prevalenza dell'attività no-profit. Si auspica che questa pronunzia possa contribuire a risolvere i frequenti contenziosi che sorgono a seguito di controlli a sodalizi “colpevoli” di svolgere (anche) attività commerciale, da cui il disconoscimento del modello associativo anche in assenza di una ripartizione ancorché indiretta di utili.
Fra i criteri di indirizzo giuridico dati dalla Legge Delega che potrebbero addirittura influire (finalmente) sul Libro Primo del Codice Civile, vi è molta aspettativa in ordine alle formalità da osservare nella redazione degli statuti, negli adempimenti di pubblicità dei rendiconti, nella tutela del patrimonio degli enti anche in rapporto con quella dei creditori (la coperta troppo corta?): il Legislatore sta dicendoci che è l'ora di finirla con l'approssimazione di bilanci fai-da-te e con procedure autoctone di gestione contabile e finanziaria, mettendo a tacere chiunque voglia continuare inutilmente a difendere il proprio orticello in nome di un improbabile risparmio di costi (piattaforme contabili dotate di un livello minimo di affidabilità e sostenibilità sono ormai disponibili ovunque) e al contempo ammicca al fatto di non ritenere peregrino chiedere al professionismo contabile di andare incontro alle esigenze finanziarie di enti con ridotte disponibilità economiche: credo si possa fare.
La Circolare prosegue nell'analisi della Legge Delega e pare accorgersi di un altro importante dettame finora mai recepito dalla disciplina fiscale: se è vero che l'articolo 18 della Costituzione dà ai cittadini pieno diritto di associarsi, è giusto che il Governo sia stato delegato aprevedere per essi le più ampie condizioni di accesso a qualunque organizzazione del Terzo Settore, da cui l'evidente apertura al diritto di accrescere la base associativa secondo procedure di ammissione ai sodalizi snelle e dinamiche, non sterilmente legate a ciclostilate riunioni di consigli direttivi.
A tal proposito rammento che la matrice ispiratrice delle contestazioni fiscali sulle procedure di ammissione è da ricercare in un fatto tragico avvenuto a inizio degli anni ottanta – l'incendio ai locali di un cinema piemontese – che provocò numerose vittime, da cui il Ministero degli Interni trasse spunto per prevedere più rigorose norme antincendio che furono imposte (Circ. 14/6/1984 n. 12388/4109) anche a talune categorie di locali ricreativi e associativi (fino ad allora con attenuati obblighi legati alla sicurezza dei locali) con procedure di ammissione inesistenti o estremamente “deboli” (tessera rilasciata immediatamente o comunque senza particolari formalità) tanto da poter essere per questo definiti “locali pubblici” o “pubblici esercizi”: il concetto venne immediatamente adottato anche dall'allora Ministero delle Finanze, che lo introdusse nelle istruzioni operative di controllo ai circoli associativi fino ad elevarle al rango di prassi consolidata, successivamente confluita nel principio di commercialità della quota associativa qualora riscossa dall'ente prima del provvedimento di ammissione dell'aspirante socio.
Altra questione su cui la Circolare pone attenzione è il fatto che la Legge Delega indirizza il Governo sul confermato divieto di distribuzione degli utili, degli avanzi di gestione, delle riserve e del patrimonio: non muterà dunque il caso pratico del socio che recede dalla Ssdrl cui è negato il rimborso del valore economico della propria quota, previsto dall'art. 2473 comma 3 c.c. ma proibito dal comma 8 lett. a) dell'art. 148 del Dpr 917/86 in quanto distribuzione indiretta di utili e riserve, ma neppure quello dello stesso socio recedente che ambisca a riprendersi almeno la quota di capitale sociale a suo tempo versata, procedura anch'essa vietata dall'anzidetta norma in quanto distribuzione di capitale.
In realtà, il divieto di distribuzione di utili appena analizzato subisce un'innovativa apertura: l'eccezione al predetto divieto per l'impresa sociale. Il passaggio culturale potrebbe avere un valore storico davvero unico, poiché se fosse effettivamente accolto nei Decreti delegati si assisterebbe alla sostituzione normativa del concetto semantico di “no-profit” (divieto di profitto imposto da una norma) con quello di “non-profit” (attività che non prevedono profitto distinte da quelle che lo prevedono). Dal lato tributario si aprirebbe un varco destinato alla legittima remunerazione del capitale anche nel terzo settore, forse ammettendo l'impossibilità di normare con la dovuta precisione le varie forme retributive del lavoro prestato nel Terzo Settore se non ispirandosi al Jobs Act dove è rigidamente affermata la preminenza – salvo differenti casistiche debitamente documentate – del lavoro dipendente.
Mi chiedo se, affermandosi l'impresa sociale, dovremmo poi attenderci una revisione della cooperativa sociale e della società di capitali sportiva dilettantistica: chissà.
L'anzidetto passaggio culturale (e normativo) ad un modello gestionale che possa prevedere una distinzione fra attività che generano profitto(distribuibile) e altre che invece non lo generano appare confermata da un successivo indirizzo della Legge Delega in cui è prevista la separazione contabile e bilancistica delle attività di impresa da quelle istituzionali: la quadratura del cerchio, colta dalla Circolare della Guardia di Finanza.
E si giunge così ad un altro aspetto che sta generando aspettativa non del tutto positiva nel mondo delle piccole associazioni: la previsione degli obblighi di controllo interno, di rendicontazione, di trasparenza e di informazione nei confronti degli associati, dei lavoratori e dei terzi (i principali stakeholders), obblighi da graduarsi secondo le dimensioni dell'ente e tenendo conto dell'eventuale impiego o meno di risorse pubbliche; non da meno sono gli ulteriori obblighi legati alla periodica verifica dell'attività svolta e delle finalità perseguite. Il quadro d'insieme è volto ad avviare un sistema dove niente possa più essere affidato al caso, all'intuito, all'improvvisazione, all'approssimazione, magari al dolo: giusto introdurre forme di controllo da parte di soggetti esterni che verrebbero (si badi bene) coinvolti personalmente nelle responsabilità derivanti da illecito svolgimento di attività “no-profit” (o “non-profit”) o da indebita fruizione di contributi pubblici; giusto altresì tener conto delle dimensioni economiche dell'ente per stabilire se esso debba o meno rientrare nelle nuove previsioni normative (personalmente porrei tuttavia ulteriori criteri per valutare il dimensionamento: investimenti patrimoniali, indebitamento, riconducibilità ai medesimi soggetti per evitare indebite atomizzazioni esentive, ecc.).
Queste ultime considerazioni spero possano fornire uno spunto riflessivo, onesto e sereno, a quella parte del mondo associativo che non vorrebbe alcuna ingerenza da parte di professionisti esterni, ritenendo che tale previsione normativa avrebbe una matrice “lobbistica” e non economica-giuridica: come la Guardia di Finanza riporta ad inizio della Circolare, il Terzo Settore è uno dei più dinamici del sistema produttivo nazionale, con un incremento nel decennio 2001-2011 del 28% delle organizzazioni attive, con oltre trecentomila entità giuridiche (il 6,4% delle unità economiche attive) che impiegano 4,7 milioni di volontari e circa un milione di lavoratori; sono i numeri che parlano, non è più possibile lasciare il settore abbandonato alla scarna normativa attuale, a consuetudini gestionali che si sono rivelate (soprattutto da metà degli anni duemila, quando si sono intensificati i controlli fiscali e previdenziali) insufficienti e incapaci di dimostrare la buona fede e il buon operato degli enti controllati, a intuizioni e improvvisazioni che niente hanno a che fare con la gestione di flussi di denaro ancorchè di ridotta entità, a “dilettantismi” (già: sembra un paradosso, vero?) che hanno dimostrato una pericolosa debolezza nei rapporti di lavoro, nella contabilizzazione dei fondi pubblici pervenuti, nella conduzione di impianti comunali, nella fruizione di agevolazioni fiscali senza capacità di dimostrarne il relativo diritto.
Proviamo dunque a cambiare, a innovarci.
Intanto, come conclude la Circolare, la Guardia di Finanza resta Organismo legittimato ad operare controlli di ogni ordine e grado anche se le funzioni di vigilanza e monitoraggio vengono affidate dalla Legge Delega al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che in effetti si attrezza distaccando e potenziando il proprio dipartimento ispettivo.
Non dimentichiamolo.
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