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10.01.2023

Istituzionale

La dimensione economica dello Sport

 

Il PIL dello Sport nel 2019 era di circa 24,5 miliardi di euro rappresentando un contributo rilevante al prodotto interno lordo del Paese, con circa 415 mila occupati. Inoltre, un investimento nello sport genera effetti moltiplicativi a pari a 2,19 volte, mettendo in moto numerose branche di attività economiche.

Per molti anni l’Italia ha avuto come riferimento riguardo il PIL dello sport il “Libro Bianco” del CONI relativo all’anno 2011, elaborato con l’aiuto di Prometeia. Successivamente sono stati forniti dati, spesso contrastanti, senza citare fonti e modalità di calcolo. Fino a quando, l’aggiornamento del 2018 dello studio del 2012 della Commissione Europea elaborato con SPEA e Sheffield Hallam University, restituisce una grandezza adeguata del fenomeno. Soprattutto, evidenzia quanto sia importante per l’Italia aderire al Conto Satellite dello Sport (SSA). Il rapporto presentato quest’anno, “La dimensione economica dello Sport”, dall’Istituto per il Credito Sportivo è il risultato finale di anni di lavoro per cercare di mettere ordine sul tema e per offrire al Paese non solo numeri, ma indicazioni per un miglior utilizzo delle risorse. Sotto questo aspetto, lo studio, fatto con la preziosa collaborazione di Giorgio Alleva, ha evidenziato un insieme di indicatori che misurano l’andamento del settore e l’impatto sui cittadini. La valutazione comprende anche il posizionamento dell’Italia rispetto agli altri Paesi europei, in termini di contributo dello Sport al PIL nazionale e all’occupazione.
L’approccio metodologico scelto nel lavoro si è basato sull’aggiornamento al 2018 e al 2019 della stima pubblicata dalla Commissione europea relativa al 2012 e sopperisce al ritardo del nostro Paese nell’implementazione del Conto satellite dello Sport (SSA).
Il rapporto valuta l’importanza macroeconomica dello sport nell’UE-28 per il 2012, l ‘ultimo anno per il quale è stato possibile trovare una serie completa ed omogenea di dati di contabilità nazionale per tutti i Paesi, basati sulla definizione di Vilnius.

Il PIL dello Sport nel 2019 erra di circa 24,5 miliardi di euro e rappresenta un contributo rilevante al prodotto interno lordo del Paese, con circa 415 mila occupati. Inoltre, un investimento nello sport genera effetti moltiplicativi a pari a 2,19 volte, mettendo in moto numerose branche di attività economiche a monte e a valle delle attività sportive. Interessante anche la dimensione dei consumi finali, con un valore di circa 5 miliardi di euro, generato soprattutto dalla spesa delle famiglie (circa 2/3), ma anche da una quota significativa da parte delle associazioni – istituzioni senza fine di lucro e della pubblica amministrazione, a testimonianza del valore collettivo dello sport. Il confronto con i principali partner europei basato sui dati di Eurostat mette in luce la diversa dimensione e performance dell’industria sportiva e del settore dello sport nel suo complesso. In particolare, se emerge nel nostro Paese un numero di imprese presenti nell’industria sportiva complessivamente inferiore a quello degli altri principali paesi europei, si rileva anche il primato assoluto italiano dell’industria manifatturiera sportiva. Le imprese italiane, infatti, presentano sistematicamente nell’ultimo decennio un valore significativamente più elevato sia del fatturato che del valore della produzione industriale per lo sport, rispetto a quello osservato in Germania, nel Regno unito, in Francia e Spagna.
Tuttavia, occorre sottolineare che la pratica sportiva da parte dei residenti in Italia rimane nettamente al di sotto del potenziale del Paese. L’ultima rilevazione Istat relativa al 2021 evidenzia che coloro che non praticato sport e attività fisica sono circa 20 milioni di persone, cioè il 33,7% del totale (per 100 persone di 3 anni e più). A queste si uniscono quante praticano una qualche attività fisica che sono 18,5 milioni (il 31,7%). Ciò significa che oltre 38 milioni di cittadini non praticano sport, cioè 2/3 della popolazione, ovvero il 65,4%. La restante parte, del totale, 20,2 milioni di persone, il 23,6%, (13,8 milioni) pratica sport in modo continuativo e circa l’11% in modo saltuario (6,4 milioni). Nonostante nel corso degli anni sia aumentata la quota dei praticanti sportivi, seppur in modo contenuto, rimane rilevante la percentuale dei sedentari e di coloro che non praticano sport, cioè solo qualche attività fisica. Inoltre, i dati del 2021 mostrano il calo della pratica sportiva continuativa dei più giovani e tra gli adolescenti è aumentata la sedentarietà che si associa ad altri fattori di rischio come l’eccesso di peso. Anche se per il 2022 si prospetta una normalizzazione del dato per la fascia d’età 6-14 anni, non si può non rilevare l’abbandono della pratica sportiva dopo i 13/14 anni d’età, fenomeno conosciuto come drop-out.

Questo aspetto andrebbe approfondito per capire i motivi di questo allontanamento dal mondo sportivo degli adolescenti che colpisce in particolare le ragazze e non trova un elemento di contrasto né nelle famiglie, né nella scuola. I motivi possono essere molteplici e di non facile lettura, ma su alcuni punti si potrebbe aprire una riflessione.

Ad esempio, la perdita della dimensione ludica assume un aspetto importante, perché se tutto fosse basato sulla prestazione, l’assenza di successi potrebbe diventare un momento di frustrazione e disappunto per l’atleta. L’opposto dell’autostima, dello svago e del divertimento. Non bisognerebbe mai smettere di divertirsi e l’allenamento non dovrebbe mai essere monotono. Sotto questo aspetto, la figura del tecnico/allenatore insieme a quella della famiglia acquistano un ruolo rilevante nel dialogo con il ragazzo. E’ utile ricordare che circa 8 ragazzi su 10 praticano sport quando entrambi i genitori hanno famigliarità con lo sport e 3 su 10 quando entrambi i genitori non sono praticanti. Quindi l’esperienza sportiva da parte della famiglia può costituire un elemento determinante per evitare un abbandono precoce. Al riguardo, la pratica sportiva negli ultimi 20 anni è aumentata soprattutto tra le persone con un più elevato titolo di studio. Il dato sottolinea, ancora una volta, l’importanza dell’aspetto culturale. E’ questo il punto dirimente, l’aspetto culturale! Non bisognerebbe mai perdere di vista l’obiettivo principale dello sport, che dovrebbe essere, oltre al divertimento e al benessere fisico, la possibilità di trasmettere valori e relazioni, fattori determinanti per la crescita e per conoscersi. Da questo punto di vista, acquisiscono un ruolo fondamentale le “infrastrutture sportive”. Anche se le ultime rilevazioni indicano che lo sport si pratica in modo sempre meno strutturato, cioè al di fuori di impianti a pagamento, soprattutto per coloro che hanno oltre i 20 anni di età, che non hanno bisogno dell’avviamento allo sport e quindi dell’istruttore. Ci sono alcune discipline, invece, che non è possibile praticare al di fuori degli spazi sportivi.

Al riguardo il Progetto “Insieme” di Mediobanca in collaborazione con il Cus di Milano Rugby e il “Campo dei Miracoli” di Corviale vanno nella giusta direzione. Queste strutture, il campo di rugby e quello di calcio, hanno offerto alla comunità del luogo un punto di riferimento dove incontrarsi. Le famiglie possono portare in questi campi sportivi i propri figli dove ci sono educatori-istruttori che permettono di svolgere ai ragazzi un’attività ludico-sportiva multidisciplinare, dove la competizione c’è ma unita ad altri importanti valori come etica, rispetto delle regole e fair-play. Tutti aspetti che “allenano” i sentimenti e aiutano a vivere al meglio questo passaggio che è la vita attraverso valori e relazioni. In tal senso, sarebbe opportuno il censimento degli impianti sportivi per capire dove intervenire e dove è necessario, invece, riqualificare le strutture. Gli ultimi dati disponibili risalgono al 2015 e relativamente a quattro regioni: Friuli V. Giulia, Toscana, Molise e Calabria. E’ importante ricordare che l’ultimo censimento è stato fatto nel 1996 (CONI-ICS-ISTAT), con un successivo calcolo ragionato del CNEL del 2003 (aggiornamento dei dati del 1996). Mi chiedo che tipo di programmazione sportiva sia stata fatta in questi ultimi 20 anni per ridurre il gap delle Aree Meridionali e il divario con le nazioni più avanzate, senza un’analisi puntuale delle strutture.

Al riguardo, il nodo cruciale è come innescare un balzo in grado di colmare un evidente ritardo nella pratica sportiva e sul numero/qualità di infrastrutture sportive, in particolare in alcune aree del Paese e rispetto agli altri paesi europei. Soprattutto, perché l’impatto dell’emergenza sanitaria è stato rilevante sulle famiglie (residenti in Italia), le quali nel 2021 solo il 12,7% (3,3 milioni) ha sostenuto spese per attività sportive, mentre erano il 22,9% nel 2019. A ciò si aggiunga anche la diminuzione nel 2020 di oltre 1 milione e 760 mila tesserati ad una Federazione Sortiva Nazionale, Disciplina Associata o ad un Ente di Promozione Sportiva rispetto all’anno precedente. In particolare, il calo più rilevante è stato nel Sud e nelle Isole con oltre 108 mila atleti federali (DSA) in meno rispetto al 2019. E’ utile ricordare che i tesserati federali (DSA) sono la punta dell’iceberg del movimento sportivo e un termometro importante per capire il movimento di base e l’avviamento allo sport. Da questi dati si comprendono bene i problemi di gestione, di reperire sponsor e di liquidità delle associazioni e società sportive dilettantistiche.

Da tutto ciò è più semplice capire come il valore dello sport in Italia non può essere ridotto alla mera contribuzione al prodotto interno lordo. Per la collettività risulta ben maggiore dei 24,5 miliardi prodotti dal settore sportivo. Poiché, l’attività sportiva va ben oltre il suo semplice valore di mercato, perché, come visto, crea una serie di esternalità positive che riguardano le aree del benessere, della salute, della sicurezza e delle relazioni sociali. Inoltre, stimola un’attenzione e una sensibilità nei confronti dell’ambiente. Dunque, gli effetti diretti e indiretti generati dallo sport in termini di benefici economici per la collettività, andrebbero considerati insieme a quelli di solito misurati in termini di valore aggiunto riguardanti le attività connesse allo sport. Al riguardo, sarebbe molto interessante programmare studi finalizzati alla elaborazione di modelli interpretativi e predittivi sul contributo dello Sport che possano superare la logica del PIL.
La speranza è che lo studio sul PIL stimoli l’Italia ad entrare nella metodologia fondata sui Conti Satellite dello Sport (SSA), per avere un numero omogeneo e puntuale per un confronto in chiave europea. Tutto ciò permetterà di verificare l’eventuale gap con le altre nazioni. In tal senso, è interessante sottolineare che l’Austria, con una popolazione pari a circa il 14% di quella italiana, raggiunge un valore del PIL pari al 61,3% di quello del nostro Paese. L’Austria utilizza in modo efficace, e non soltanto stagionalmente, le proprie risorse naturali offrendo servizi sportivi e ricettivi di elevata qualità.
I dati presentati nel rapporto relativi al 2012 e al 2019 evidenziano il potenziale inespresso dall’Italia, ma, soprattutto, quanto lavoro ci sia ancora da fare e le azioni da intraprendere per promuovere la cultura, non solo sportiva, nel Paese. In particolare, alla luce dell’attuale congiuntura economia che potrebbe emarginare dalla pratica sportiva le famiglie con minori risorse economiche e accentuare ancora di più il divario con il Meridione, ciò l’anello debole della catena.

[ Riccardo Bucella ]
Primato, dicembre 2022

 

 

 

 

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