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27.07.2015

Istituzionale

Enzo Ferrari ci manca…

Fonte: Primato Luglio 2015 – di Italo Cucci

Enzo Ferrari ci manca dal 14 agosto 1988. La sua creatura – la Rossa amata e adorata da milioni di appassionati in tutto il mondo – è ancora viva, potente, attrazione insuperata per l’Uomo della Sfinge: dall’infante che si muo- ve allegro a quattro zampe all’anziano che s’appoggia al bastone attendendo il suo desti- no. E’ sempre Diva, la Rossa, eppure a me manca l’emozione che veniva non dalle sue vittorie – mi sono mancate, come al Drake, per vent’anni – ma dalle sconfitte, celebrate da una ricerca attenta, a volte stizzosa, sbattute in faccia al signore di Maranello dai fru- strati bisognosi di rivincite, incassate dai fede- li con filosofica superiorità: sapevamo che prima o poi saremmo stati accontentati, il desiderio di vittorie esaurito, le campane di Maranello avrebbero cantato il trionfo facendolo ascoltare a tutto il mondo. E son venu- te, le vittorie, con Jean Todt e Luca di Mon- tezemolo, soprattutto grazie a Schumacher. Sono tuttavia mancate le emozioni d’un tem- po, quelle che ti facevano attendere all’edico- la la Gazzetta e Autosprint per farti anche tu – come diceva il Vecchio con una punta di malizia – “ingegnere del lunedì”. Oggi il Rosso fiammeggiante o pallido lo consumano tutto in tivù, con trasmissioni a volte da meccanici tanto sono tecnicamente evolute; e non posso dimenticare le raccomandazioni di Ferrari a  Mario Poltronieri, “quello della Rai”: “non scenda troppo dei dettagli tecnici, finirà per annoiare”. Effettivamente annoiato da un mondo ch’è sempre più delle macchine, sempre meno dell’uomo (la mortificazione di Alonso n’è la prova vivente) è solo la nostalgia che nutre la mia quasi smarrita pas- sione per i motori, e dir che sono di Roma- gna figlio, cresciuto a vroom vroom e sangiovese; sapere, oggi, da Marchionne, il Signore dei Maglioni, che la Ferrari vale dieci euro miliardi, non mi fa un baffo; Ferrari – che al Dio Denaro riservava onoranze segrete – non mi ha mai parlato di soldi ma d’amore, di una Fabbrica nella quale riversava tutti i suoi importanti guadagni quasi alla ricerca della perfezione, comunque d’un approdo degno di Ulisse; e scrivendo omeriche pagine sulle sue Gioie Terribili e gli uomini – tanti, nani e giganti – da lui “agitati” per andare ben oltre la tecnica e il motore. Tutto questo mi manca; ma ancora più forte è l’assenza dell’Uomo che un giorno disse di non saper di politica, di ideologie, di partiti, ma solo di sentirsi Italiano. E’ vero che spesso ho sognato di essere con lui, a Maranello; o nei cieli battagliati con Masprone e D’Annunzio; è vero dunque che potrei meritare l’insulto di Nazionalista dai pusillanimi disfattisti visi pallidi e anche un po’ coglioni, ma è proprio di quell’Italiano che era amico di Italo Balbo, Leo Longanesi, Giovanni Guareschi, Indro Montanelli e pochi altri Italiani come lui che sento la man- canza in un momento di depressione euro- pea che prima o poi – trionfando l’ignoranza – ci ridurrà alla questua come la Grecia, a sua volte bistrattata maestra dei sopravvis- suti. Se andate sul web e battete il nome “Ferrari” si aprirà un lungo elenco di link, un “Enzo Ferrari” rivelerà addirittura essere una vettura ricca giovane e bella; il nome del Drake va cercato in seconda battuta, nel wikipedia dei morti.
Ecco cosa voglio dire a Enzo Ferrari a ven- tisette anni dall’addio: che non mi mancano tanto le vittorie della Rossa quanto la gran- de dignità dell’uomo che non consentiva baruffe, che non veniva neppur scalfito dal- le sconfitte e che raccontava ai potenti del mondo, Presidenti, Re, Papi, Imperatori, l’avventura di un piccolo Italiano diventato gigante, maestro, ricco e potente solo in forza del lavoro e della passione, aggiungendo al proprio modesto nome quel Cavallino Rampante ch’era stato il simbolo degli eroi- smi di Francesco Baracca (1888/1918), il romagnolo di cui si narra che, una volta abbattuto in volo da un nemico austriaco, fu lo stesso vincitore a lanciare un fiore sull’aereo caduto con il suo fantastico pilota. “Ferrari”, “Cavallino”: oggi sono brand, marchi famosi da dieci miliardi di euro. Per me restano simboli dell’orgoglio italiano.
 

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