21.10.2016
Sport
C’è chi vince due volte
I Giochi Olimpici di Rio 2016 sono terminati, ma per molto tempo continueremo a parlare delle donne e degli uomini che con le loro storie si sono resi protagonisti della storia sportiva.
Anticipiamo qui un articolo del magazine ASI Primato, firmato da Donatella Italia, che parla del film del 2013 'Il cammino verso Olimpia' del regista tedesco Niko von Glasow, focomelico, un racconto attraverso cinque grandi esempi di vita sull'essere atleti speciali in procinto di partecipare all’appuntamento di Londra 2012.
Le Olimpiadi sono bellissime, l’apoteosi dello Sport che vogliamo con la S maiuscola, immancabile appuntamento ogni quattro anni. Ma allo sport professionistico, quello dei Campioni, c’è anche da raccontare le storie, altrettanto esaltanti, e per molti versi più belle, degli atleti che partecipano, e vincono, alle Paralimpiadi.
Il regista tedesco Niko von Glasow, focomelico, nel suo film del 2013Il cammino verso Olimpia (titolo originale MeinWegnach Olympia), ci racconta come è essere atleti speciali in procinto di partecipare all’appuntamento di Londra 2012 attraverso cinque grandi esempi di vita. Gente che deve dimostrare di vincere due volte: prima nel condurre una vita normale e poi di poter forzare i propri limiti per arrivare all’eccellenza in un mondo, lo sport, dove è proprio il fisico a fare la differenza.
La filosofia di Glasow, che non ama assolutamente lo sport, è che “le Paraolimpiadi siano strane: i disabili devono continuare a competere per essere normali.”
Sicuramente un punto di vista fuori dal coro, ma che permette alla narrazione di non avere i classici toni compassionevoli. E Glasow compassionevole non lo è, ma ascolta le storie di questi ragazzi forti e orgogliosi che non si sono fermati davanti alle difficoltà ma ne hanno fatto un punto di forza.
Greg Polychronidis, un greco campione di bocce affetto da tetraplegia che ha visto avanzare con gli anni la sua distrofia fino a poter muovere solo il collo e la testa, vive circondato dall’affetto della sua famiglia e le cure del suo assistente. È molto conosciuto in Grecia e ammette, senza falsa modestia, di amare il successo. Le bocce sono la sua vita e ha dell’incredibile la meticolosità con cui indica al suo assistente come dove posizionargli lo scivolo sul quale farà rotolare le bocce. Il regista sembra entrare molto in sintonia con il ragazzo, ammirato da come questo giovane, che all’epoca aveva solo 30 anni, affronta il suo destino di progressiva immobilità.
Matt Stutzman, arciere statunitense nato senza arti superiori, è forse quello che colpisce maggiormente Glasow. Entrambi infatti hanno una disabilità che ha colpito le loro braccia, ma mentre il regista ha delle mani pressoché formate e utilizzabili, l’arciere ha i propri arti inferiori che terminano appena dopo le spalle. Stutzman è nato senza braccia e ha passato la sua vita ad avvalersi dei piedi come se fossero delle mani; guida, scrive al computer, si allena a tirare con l’arco e a sparare con la pistola. Ha una moglie e due biondissimi figli che lo aiutano in tutto.
Scherzosamente Glasow chiede alla signora Stutzman se il marito sfrutti mai la sua disabilità per non aiutare in casa; alla risposta di lei: “oh sì, per non lavare i piatti!” non si può non sorridere. Anche Stutzman, come Polychronidis, ammette candidamente di amare lo sport ed essere felice della popolarità e del denaro che gli arrivano dal successo.
Ma è con le due donne coinvolte, Christiane e Aida, che il regista scava più in profondità e mostra maggiore empatia. La prima è una nuotatrice tedesca; dichiara di non sentirsi “diversa” e che ognuno ha dei problemi da affrontare ogni giorno, i suoi sono solo differenti. Ma più avanti, nel corso del documentario, Christiane ammette di sentire la sua disabilità come un peso, soprattutto quando le persone ridono di lei, senza sapere che ha perso la gamba destra a 5 anni per un tumore. La risposta molto poco politicallycorrect di Glasow è da incorniciare: “E tu buttali in acqua! Affogali!”.
Con la storia di Aida, invece, si affacciano altri problemi oltre alla disabilità: 22enne, nata in Bosnia durante la guerra, è stata adottata a sei anni da una famiglia norvegese. La ragazza vive quindi una doppia diversità: fisica e di origine, ma l’affetto con cui i genitori adottivi osservano questa figlia voluta, cercata e portata in una casa è toccante, bello quanto un’Olimpiade. Il suo allenatore ci racconta che, poiché Aida è l’unica ragazza disabile nella sua palestra (in Norvegia le squadre sono integrate, non ci sono barriere di abilità), risulta essere perfettamente normale come tutti gli altri sportivi che si allenano con lei. Come dire: “non vuoi far sentire un disabile diverso? Trattalo esattamente come fai con le altre persone.” Aida dichiara anche di non aver mai voluto guardare le foto della guerra in Jugoslavia, forse preferisce dimenticare un passato che non le deve appartenere più.
Infine, dopo disabilità provocate da malattie, arriviamo alla squadra ruandese la cui maggior parte dei componenti ha perso le gambe a causa delle mine, retaggio della guerra civile tra Tutsi e Hutu.Qui Glasow allarga l’ambito delle domande e arriva a chiedere di quel conflitto interetnico, ma la risposta dei giocatori è chiara: “Quella è storia, ora qui c’è la nuova generazione e non ci sono più differenze.” E verrebbe da rispondere “Speriamo”.
Il documentario di Glasow accompagna questi cinque grandi esempi di coraggio fino a Londra 2012 raccontando le loro imprese, i loro successi (l’argento di Stutzman e l’oro di Polychronidis) e le loro sconfitte. E per chi non ha conquistato medaglie la soddisfazione di poter esclamare: “Io però sono arrivato fino a qui, e già solo per questo ho vinto due volte”.
Da sottolineare che nel 2008 Niko von Glasowaveva diretto il documentario Nobody’sperfect su undici persone affette da focomelia a causa del farmaco thalidomide, riunite per posare per un calendario. Il film ricevette il premio come miglior documentario al DeutscheFilmprei.
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