Sono brave da morire, belle come il sole e vincono tutto. Sono il vanto del nostro paese, tengono gli italiani (sportivi e non) incollati davanti alla tv a seguire le loro competizioni. Sono le donne dello sport italiano, ma sono solo delle dilettanti.
Proprio così. Flavia Pennetta, Roberta Vinci, Federica Pellegrini, Tania Cagnotto, Elisa di Francisca, Elisa Longo Borghini, Patrizia Panico e tutte le altre leonesse dello sport made in Italy per il Coni non sono delle professioniste.
La colpa è della legge 91 del 1981 sul professionismo sportivo che recita: “sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica”. Il Comitato però in 34 anni non ha mai chiarito cosa distingua i professionisti dai dilettanti. E questo mancato chiarimento comporta l’esclusione delle donne dal professionismo. E a cambiare le cose non ci ha ancora pensato neanche l’ex “dilettante” Valentina Vezzali, oggi deputato.
Qualunque sport, dal nuoto alla pallavolo per fare degli esempi, praticato dalle donne non è in nessun caso considerato a livello professionistico. E non conta la valanga di medaglie portate a casa o la quantità di competizioni vinte a livello mondiale. Questo, oltre ad essere estremamente discriminatorio e umiliante per delle sportive che dedicano la vita alla propria disciplina, comporta delle problematiche legate a una serie di diritti riconosciuti invece ai colleghi maschi. Le atlete (a meno che non vengano ingaggiate dalle forze armate) non hanno alcuna tutela giuridica o sindacale, nessuna pensione di maternità, contributi o fondo pensionistico.
Oltre a non essere tutelate dalla legge le nostre campionesse vengono considerate sempre di “serie B” (anche quando giocano in seria A). Durante la finale di Coppa Italia della serie A, una partita che quando è giocata da calciatori maschi è considerata come l’evento più importante dell’anno (non solo in ambito sportivo), le stesse giocatrici hanno dovuto disegnare le linee del campo durante l’intervallo, perché nessuno se ne era occupato. Così come nessuno si era occupato di tagliare l’erba del campo. Neanche fosse una partitella di quartiere. Ma del resto, come dice il Presidente della Lega Nazionale Dilettanti “che ci importa di queste quattro lesbiche” come se poi fare sport non sia sinonimo di femminilità.
Tra l’altro le atlete azzurre sono state le protagoniste indiscusse di questa stagione sportiva e hanno vinto praticamente tutto. Oro nel fioretto a squadre ai Mondiali di Mosca; ai Mondiali di Nuoto di Kazan argento nei 200 stile della Pellegrini seguiti dall’ argento nella staffetta 4×200, il bronzo nel sincro misto, e il bronzo del Setterosa della pallanuoto; l’oro ai Mondiali di Stoccarda nella ginnastica ritmica e l’oro nella Route de France (la più importante corsa ciclistica a tappe della stagione) e per finire l’US Open 2015.
Le sportive si sono stancate di questo continuo essere considerate inferiori, e il 26 settembre hanno organizzato un Meeting Nazionale per lo Sport Femminile a Roma (organizzato dall’Assist) per vedere riconosciuti dalla legge (e dall’opinione pubblica anche) i sacrifici, il talento e la dedizione allo sport che un lavoro. Così come per i maschi.