In occasione della 95esima edizione del Derby Italiano del Trotto, la corsa dedicata ai trottatori italiani di 3 anni che rappresenta la vetrina più prestigiosa per i cavalli nostrani della disciplina – l’appuntamento più atteso da allevatori, proprietari, professionisti e appassionati – sarà presentata una mostra con le maglie di Roma e Lazio in un suggestivo derby anche del calcio romano. A cura di ASI, Associazioni Sportive e Sociali Italiane e del suo Comitato romano.
“Si tratta di un appuntamento da una doppia valenza importantissima. So cosa vuol dire il derby a Roma, tutti me ne hanno sempre parlato, si respirava anche se negli anni in cui sono stato qui, anche se non l’ho mai giocato. L’ho sempre poi seguito da spettatore con grande attenzione e costanza. Cosa riescono a fare i tifosi sugli spalti è un qualcosa di unico. E per quanto mi riguarda particolarmente sentito: mi sento romano d’adozione”: queste le parole di una bandiera della Roma, Zibì Boniek, che sarà uno dei presenti al Derby del Trotto. Boniek racconta la sua passione per i cavalli. “Per me la parola ‘Derby’ è importantissima anche in campo ippico: sono proprietario di cavalli da corsa e in più driver alle corse ‘Gentleman’, quelle riservate ai proprietari. Diciamo che queste due discipline, calcio e ippica, sono quelle della mia vita. La mia maglia sarà presente per la mostra organizzata da ASI”. ⬇︎
“La prima cosa che mi dissero al mio arrivo a Roma fu “mi raccomando al derby” ecco già questo fa capire l’importanza che ha questa battaglia. I Derby li ho vissuti con grande passione, con grande fermento. La stracittadina a Roma è unica. E so che è importantissimo anche il Derby nell’Ippica soprattutto nella Roma di qualche anno fa. Questa iniziativa e l’associazione che organizza aiuta tante persone e ha la mia profonda stima”: così Cristian Ledesma, capitano della Lazio di qualche anno fa. ⬇︎
Un evento, quello di domenica, che rappresenta per la città di Roma un momento di grande sport e partecipazione: il pubblico oramai da qualche anno sta affollando le tribune dell’impianto di Capannelle, sognando un ritorno ai fasti degli anni Sessanta e Settanta.
Appuntamento a domenica 9 ottobre, dunque, per il Derby Italiano del Trotto e con l’evento denominato “Derby e non solo” che vedrà anche una mostra legata all’impiantistica sportiva, giochi popolari e tradizionali, una rassegna di Calcio Balilla e Subbuteo e per i più piccoli, il battesimo della sella, grazie all’impegno di ASI Sport Equestri, ovvero la possibilità di far provare per la prima volta l’ebrezza dello stare a cavallo ai più piccoli. Oltre, ovviamente, alla mostra delle maglie di Lazio e Roma.
INTERVISTA A VITTORIO MORETTI, DALL’UNDER 21 AD ASI, CON LA MUNDIAL FOOTBALL CLUB.
Nel 2013 era il preparatore atletico della Nazionale Under 21 fermata solo dalla Spagna nella finale degli Europei allo stadio Teddy di Gerusalemme. Una carriera, la sua, spesa in Federazione tra nazionali giovanili e campioni in erba come Verratti, Immobile, Insigne, Florenzi, Jorginho.
Fino alla decisione di tornare lì dove aveva iniziato. Ancora tra i giovani: ma nei licei e nelle scuole calcio.
Oggi Vittorio Moretti insegna educazione motoria a Roma, con un programma innovativo sposato dall’istituto Alberti, convinto che “alla scuola italiana serva un’inversione di tendenza in tema sportivo” e fa il preparatore atletico alla Mundial, società associata ASI, “dove si respira un’aria diversa. Dove il concetto di formazione e cultura dello sport è preminente nelle strategie societarie”. “Ho spesso rifiutato incarichi nelle società dilettantistiche – sottolinea Moretti – dove prevale l’ansia del risultato, con tutte quelle pressioni, derivanti dall’ambiente, dai genitori e dalle società stesse, che da anni rovinano il nostro calcio giovanile. Alla Mundial i programmi sono diversi”.
Cominciamo dalla scuola. Se la famiglia ha un ruolo primario nei processi di educazione anche allo sport e nelle dinamiche di conservazione del comportamento ludico tipico dell’infanzia, passando il testimone alla scuola… ma non in Italia. Dati recenti confermano che il nostro Paese è fanalino di coda con 480 ore l’anno di educazione motoria nei vari gradi scolastici. Paesi come la Francia di ore ne contano oltre 2000. Il Belgio più di mille, come Germania, Finlandia, Grecia, Inghilterra, Olanda, Norvegia, Svezia, Svizzera.
Moretti che ne pensa? “Che il nostro Paese ha un grande bisogno di investire nello Sport: per la salute, l’educazione e la formazione psico-fisica dei nostri giovani. Poi, se da questa formazione ‘alla vita’ escono fuori anche i campioni ben venga”.
Nella sua scuola, la Alberti a Roma, un progetto all’avanguardia. “Certamente. Insieme al dirigente abbiamo dato vita a un piano di potenziamento dell’attività motoria. Un indirizzo, in particolare, prevede in cinque anni, lo svolgimento di 12 discipline, dalla Vela al Rugby, tutto questo in collaborazione con società e federazioni e senza impegnare minimamente le tasche delle famiglie. Altro problema gravissimo è quello delle infrastrutture: tanti anni fa i ragazzini giocavano ovunque, negli oratori, nei parchi, nei prati delle periferie e persino nelle strade. Oggi no: sono mutate le abitudini ma a questo cambiamento non è corrisposto un piano di incremento delle strutture sportive. Ed anche di sfruttamento pieno di quelle esistenti. Mi chiedo: perché nei centri comunali non sono ad esempio ospitate le scuole al mattino?”.
Quanto sostiene Moretti è suffragato da dati sconfortanti anche per quanto attiene gli impianti sportivi annessi ai plessi scolastici. Stando ai dati relativi al 2018 rilasciati dal ministero dell’Istruzione, sono oltre 40mila gli edifici statali. Di questi, solo 16mila, ovvero 4 su 10, sono dotati di un impianto, come una palestra o una piscina. Un dato, peraltro, fortemente variabile a livello regionale. In due regioni, Friuli e Piemonte, gli edifici scolastici dotati di strutture sportive superano la metà del totale, con rispettivamente il 57,8% e il 51%. Al terzo posto la Toscana con il 48%. Agli ultimi posti, con meno di 3 edifici scolastici dotati di impianti su 10, troviamo Calabria (20,5%) e Campania (26,1%).
Veniamo alla sua attività all’esterno del mondo scolastico. L’avventura con la Mundial… “Mi ha avvicinato il Direttore Sportivo Daniele Cataloni proponendomi di tornare al Calcio del territorio. Sinceramente avevo smesso anni fa di occuparmi di Calcio dilettantistico trovando l’ambiente inquinato da troppe pressioni colpa delle quali i ragazzi difficilmente potevano crescere nei valori dello sport. Alla Mundial – sennò non avrei certo accettato l’incarico propostomi – ho capito che la parola d’ordine ‘formazione’ aveva la sua giusta importanza. Ho trovato due ragazzi di Scienze Motorie e con loro stiamo lavorando su progettualità a largo respiro, in collaborazione strettissima con i tecnici. Alla Mundial ho trovato allenatori preparati, una grande attenzione anche ai dettagli, un ambiente accogliente senza quelle esasperazioni che si respirano nel Calcio dilettantistico”.
Acilia e La Rustica, due poli di aggregazione? “I campi della Mundial non a caso sono in due quartieri popolosi della periferia. Qui si provano a intercettare i ragazzi che non fanno sport. Questo rappresenta una forma di rilancio sociale e allontana i ragazzi dai centri commerciali, dai pomeriggi passati davanti a videogiochi e spesso anche da tante devianze. La Mundial sta investendo denari e impegno in un discorso che credo essere virtuoso. Qui si formano giovani calciatori sempre ricordando ai ragazzi che bisogna studiare e seguire le proprie aspirazioni senza illusioni. Uno su 40mila arriva in Serie A…”.
Uno su 40mila, e lei ha lavorato anche con ragazzi destinati a grandi platee nell’esperienza federale. Ma perché oggi c’è crisi di risultati in Nazionale “Semplicemente perché c’è poco spazio per i nostri giovani e tanti, troppi, sono gli stranieri. Il Calcio italiano produce ottimi giocatori: ma il meccanismo si inceppa quando si preferiscono agli italiani, giocatori di altre nazioni. Discorso a parte: molti dei tanti giovani che potremmo produrre si perdono, pur con grandissime qualità: sempre per il discorso delle aspettative e delle pressioni che, spesse volte, impediscono una crescita serena”.
Maglie senza sponsor, le maniche lunghe dei portieri, il precampionato. E poi: le scarpette tutte nere, i calzettoni senza piede e il mercato di riparazione. E ancora: il terzino, il mediano di spinta e le marcature a uomo. Ma anche la Coppa delle Coppe e la panchina a bordo campo; le Nazionali dell’Est e il gol doppio in trasferta; la radiolina, le trasmissioni tv. C’è posto anche per la monetina e la ripetizione della finale, E, per finire: il pallone bianco e nero. Sono alcune delle cose perdute del calcio: oggetti smarriti, ma che ricompaiono in, basta saper aprire il cassetto dei ricordi. Ed ogni “cosa perduta” diventa il pretesto per raccontare, con stile leggero e ironico, un particolare, un personaggio, una storia che, in qualche modo, ha fatto parte della nostra vita di amanti del pallone.
Un viaggio nel tempo, un gioco della memoria. Per vedere l’effetto che fa.
QUESTO E TANTO ALTRO NEL VOLUME DI Lorenzo Marucci CHE VERRÀ PRESENTATO LUNEDÌ SERA AL CIRCOLO LA LUCCIOLA DI BENABBIO Bagni di Lucca
ASI Lucca organizza la presentazione del libro e il moderatore sarà il Presidente Provinciale Fabrizio Giovannini.
C’è anche il Presidente di ASI Piemonte, Sante Zaza.
Il 23 febbraio del 1968, allo Stadio dei Pini di Viareggio, per la prima volta scende in campo una rappresentativa italiana di calcio femminile per affrontare la forte Cecoslovacchia. Inizia qui la storia della nostra Nazionale, nata ancor prima dell’istituzione di una vera e propria Federazione che gestisse il calcio femminile nel nostro paese. “Azzurre” (Bradipolibri), il primo libro sulla storia della Nazionale di calcio femminile, ripercorre, oltre cinquant’anni di imprese compiute dalle Azzurre: dalla Coppa Europa vinta nel 1969 fino ad arrivare ai giorni nostri con l’imminente fase finale della UEFA Women’s Euro, in programma dal 6 al 31 luglio 2022 in Inghilterra.
Il testo tratta anche le Nazionali di tutte le Federazioni che operarono prima che il calcio femminile venisse inquadrato nell’ambito della FIGC. Inoltre una sezione è dedicata alle selezioni giovanili, di calcio a cinque e di beach soccer. Un racconto dettagliato che, oltre a far rivivere le gesta sportive, rivela aneddoti, curiosità e retroscena narrati dalle protagoniste che hanno indossato la maglia azzurra. L’opera è impreziosita da un ricco corredo iconografico e da molte fotografie inedite e rare.
Il Presidente della ASI Piemonte Sante Zaza, per molti anni è stato arbitro internazionale di calcio femminile, è tra i protagonisti del libro. Il fiore all’occhiello nelle vesti di direttore di gara, per Sante Zaza, è stata la direzione della finale del Mundialito del 1984 (Italia- Germania Ovest 3-1). Ma il suo contributo in questo sport non si è fermato qui perché è stato anche il deus ex machina di uno dei tornei più prestigiosi dei primi anni duemila ovvero l’Italy Women’s Cup. Infatti l’autore Giovanni Di Salvo, esperto di storia del calcio femminile, ha ricostruito dettagliatamente, per la prima volta, le imprese della Nazionale italiana di calcio femminile dal 1968 ai giorni nostri dando ampio spazio anche alle selezioni giovanili.
Sante Zaza al centro: scambio di gagliardetti tra Giolli Roma e Alaska Trani 1984
Uno scatto. Di uno scatolone in cartone… All’interno, la storia del Calcio Femminile ai pionieristici esordi. Solo una parte dei documenti donati al nostro Ente da Natalina Ceraso Levati. La “professoressa” Levati, docente di latino con la passione per il Calcio trasmessa dal padre Reno, l’uomo al quale si deve la nascita nel 1970 della Fiammamonza, leggenda del Centro Nazionale Sportivo Fiamma prima e di ASI poi, periodo nel quale la società vincerà uno storico Scudetto, regalando anche tante atlete alla Nazionale: come, ad esempio, Milena Bartolini, oggi commissario tecnico Azzurro.
È il 1933 quando a Milano viene fondato il Gruppo Femminile Calcistico, di fatto un comitato organizzatore dei campionati locali ai primi vagiti. Solo nel 1986, cinquant’anni dopo, il football delle donne entrerà a far parte della FIGC: sarà eletta come presidente della Divisione Femminile proprio la Levati, la nostra dirigente, il cui operato sarà decisivo per lo sviluppo del movimento in Italia. Con la sua gestione le squadre partecipanti ai campionati nazionali aumenteranno di oltre il 50%, e le tesserate del 120%, passando da meno di 10mila a circa 22.000.
Ricordo come fosse oggi quella telefonata della professoressa che avrebbe di lì a poco iniziato a costruire un nuovo futuro per il Calcio femminile in Italia, forte dell’esperienza maturata nella nostra grande casa. Ricordo anche un velo di malinconia e preoccupazione nel dover lasciare le ‘sue’ ragazze e quella richiesta fatta a bruciapelo: “Claudio, nel segno della continuità, diventa tu Presidente”. Accettai e furono anni straordinari.
Il Fiamma prima e l’ASI poi, con la sua energia vitale diffusa sull’intero territorio nazionale, ha dato vita a tante realtà. Il Fiammamonza e, grazie al lavoro della Levati anche il movimento femminile, ne sono esempi.
Anche le donne diventano professioniste Nel 2019 – dopo tanta acqua passata sotto i ponti e migliaia di partite sui campi sterrati – si è giocato il Mondiale in Francia. Ventuno milioni di persone hanno seguito la Nazionale Femminile durante il torneo iridato (quasi 90mila spettatori hanno visto dal vivo le gare delle Azzurre). Rai e Sky, hanno trasmesso il Mondiale raggiungendo complessivamente, nelle 5 gare disputate dall’Italia, 24,41 milioni di telespettatori (media di 4,88 milioni a partita), con uno share medio del 31,84%. Dopo il torneo, vero e proprio spartiacque, il 34,1% degli italiani ha dichiarato di essere interessato al calcio femminile…
Dal primo luglio 2022, invece, il Decreto legislativo n. 36 del 28 febbraio 2021 e la conseguente decisione storica della Federcalcio, traghetta le donne verso il professionismo, sebbene limitatamente alla serie A. La spinta mediatica dei numeri mondiali ha sicuramente giocato un ruolo fondamentale.
Le atlete potranno ora usufruire di un contratto collettivo che stabilisce stipendi più elevati, la maturazione dei contributi pensionistici e altre tutele di tipo legale e sanitario. Il Dlgs approdato in Gazzetta Ufficiale nel 2021 ha istituito il “Fondo per il professionismo negli sport femminili” con una dotazione complessiva di 10,7 milioni, scadenza 2022, per la transizione al professionismo sportivo e l’allargamento delle tutele assicurative e assistenziali delle atlete.
Lavoro sportivo e professionismo femminile. Lati di una stessa medaglia Ma dopo il 2022? Per alimentare il percorso del professionismo, sulla carta sacrosanto, è necessario trovare stabilmente delle risorse. E, ad oggi vi sono solo due modi per far si che questo accada: che lo Stato continui a farsi carico dei costi, ignorando le leggi del mercato in base alle quali a una attività deve corrispondere anche un introito. O reperendo le risorse all’interno del sistema sportivo attraverso i soldi che, nello specifico, il Calcio maschile produce e che possono, legittimamente, all’interno degli organi collegiali della Federcalcio, essere dirottati verso il finanziamento delle società sportive.
Ma la domanda che ci siamo sempre posti è: perché andare a creare un sistema artificiosamente sorretto dai soldi dello Stato, o di una componente interna, se il movimento non produce ancora quegli introiti che potrebbero essere utili per i contratti di lavoro subordinato che ne potrebbero discendere?
Una diretta conseguenza di questo provvedimento sarà anche l’allargamento della forbice tra club più ricchi e quelli più poveri: questa riforma potrà essere meglio assorbita dalle società sportive di livello che già fanno la Serie A, che attirano capitali privati o che rappresentano sezioni femminili di società importanti e strutturate, come nel caso della Juventus, a danno di realtà più piccole che combattono quotidianamente, oltre che sul campo, anche con i bilanci.
Tema molto spinoso, come anche quello del lavoro sportivo la cui riforma darebbe la giusta e desiderata dignità a chi opera in questo comparto, con quelle criticità legate alla sostenibilità del sistema da non sottovalutare e delle quali abbiamo esaurientemente scritto nel precedente editoriale di Primato.
Siamo di fronte, in entrambi i casi, a un Giano Bifronte.
Nb. Quella favola chiamata Fiammamonza. Una storia da raccontare Mi sia permesso, in chiusura, ancora un tuffo nel passato. Per raccontare la nascita della Fiammamonza che ha qualcosa di romantico e virtuoso che vale la pena di ricordare per i principi così aderenti al sentire del nostro Ente.
La polisportiva Fiammamonza, alle porte degli anni Settanta, praticava già Basket, Atletica e Volley, tutto declinato al femminile. Non ancora il Calcio.
Arrivò la chiamata di Mamma Rita, un centro residenziale nel brianzolo che agiva in ambito sociale con famiglie disagiate, desiderato da Rita Tonoli e in suo onore così chiamato. Chiesero a Reno Ceraso, il papà di Natalina, la disponibilità a far praticare sport a quelle ragazze. Così nacque il primo nucleo di una squadra destinata, qualche anno più tardi e sotto le insegne di ASI, a vincere uno storico Scudetto.
Una piccola grande favola. D’altri tempi…
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