07.05.2021
Saliamo anche noi
Dalla rivista Primato, maggio 2021.
Saliamo anche noi. Dove? Sul carro dei vincitori. No, non è istinto del gregge o follia collettiva che porta le persone ad agire tutte nello stesso modo. E neppure quell’effetto carrozzone che Oltreoceano, dove tutto diventa d’improvviso un claim, si chiama Bandwagon, l’astuta abitudine a votare i candidati che hanno maggiori possibilità di successo: questo comportamento aumenta la probabilità di trovarsi, a elezioni concluse, dalla parte giusta, quella del ‘vincitore’.
Comoda, aggiungiamo, oltre che furbacchiona: tanto è vero che, in senso letterale, il termine indica il carro che trasporta una banda musicale in una parata. Salire sul barroccio della banda è dunque confortevole poiché permette di ascoltare la musica senza dover camminare.
Ora soffermiamoci – a questo punto del discorso ci sembra necessario – su quale musica stiamo però ascoltando. E magari approfittiamo per svelare il soggetto del nostro discorso.
Il riferimento appare chiaro perché di vincitore, parliamo di sport, ce ne è uno solo. È il neoeletto Presidente del CONI Giovanni Malagò, accompagnato da un suffragio che non lascia spazio a interpretazioni. Nessuna sorpresa: il Presidente uscente, confermato per il terzo mandato, che sarà l’ultimo, ha incassato il 79,71% dei voti vali- damente espressi.
Bravo Presidente, un plebiscito!
Anzi no… Perché Plebiscito è un termine che deriva dalla lingua latina (plebiscitum), composto da plebs (“plebe, popolo”) e scitum (participio di sciscere, “stabilire”). Nato nel diritto romano, è utilizzato, anche a sproposito, in età contemporanea. Eh, allora proprio no. Perché se a votare fosse stato il popolo, quello dello sport – uscito con le ossa rotte, con molti dubbi e anche qualche brutta certezza – l’esito delle urne, forse, sarebbe stato diverso.
Associazioni, società sportive e centomila strutture – censimenti ormai vecchi perché molte di queste hanno già chiuso – avrebbero votato differentemente. Per fortuna, per il Presidente, che a esprimersi non sia stato il popolo, tanto è vero che i soli EPS – guarda un po’ i più vicini alla comunità del movimento di base e dello Sport per Tutti – hanno avuto il coraggio di fare scelte diverse da quella risultata vincente.
E, comunque, fatichiamo ad abusare della parola ‘popolo’, atteso che, in un sistema elettorale imperfetto, a decidere sulle sorti del comparto è una ristretta cerchia di persone e non certo chi ne avrebbe veramente diritto e, aggiungiamo, bisogno. Probabile che, per il popolo in questione di fatto escluso da tutto, anche queste elezioni siano state solo un trafiletto da leggere al bar, tra lo Scudetto dell’Inter e la querelle della Superlega. Senza porsi troppo il problema se, alla democrazia delle oligarchie sportive, corrispondessero i reali interessi della gente che avrebbe il diritto a essere tutelata e l’interesse superiore dello Sport in una sua visione più ampia e strategica. Ha dunque vinto un sistema blindato che si riproduce per partenogenesi.
E quale migliore interprete del freno al cambiamento di colui che garantisce la continuità del sistema?
Un sistema in cui il Calcio, caso unico al Mondo, è l’unica federazione di questa disciplina a godere di un contributo pubblico; un sistema in cui il Consiglio Nazionale del CONI approva bilanci senza mai discutere (prima della riforma, ben mezzo miliardo di euro senza che nessuno eccepisse qualcosa) e consuma, invece, il tempo dell’incontro in liturgie consolidate e autocelebrazioni; un sistema, infine, totalmente sbilanciato sotto il profilo elettorale nel quale ogni federazione conta un voto al di là della effettiva rappresentatività. Siamo di fronte a un soggetto imperme- abile al dialogo. Prendo in prestito anche le parole del Presidente della FIT, Angelo Binaghi: “Per ora di riforme non ne abbiamo fatta nemmeno una. Quattro anni fa consideravo la struttura dello Sport italiano obsoleta e inefficiente e oggi lo sport italiano è allo stesso punto e con la stessa assurda struttura. Il Sistema attuale non accetta indicazioni…”.
Queste e altre dinamiche, appena accennate in questi nostri appunti, meritano valutazioni e approfondimenti a parte. Le faremo prossimamente.
‘Chapeau’ o, senza esotismi, ‘Tanto di cappello’ a Giovanni Malagò, comunque, che senza più leve finanziarie e biglietti di Tribuna Autorità, è riuscito a convincere un mondo che non ha mai gradito rivoluzioni. Ha vinto e avrà di fronte altri quattro anni per autocelebrarsi e menomale che la legge ha posto un tetto ai mandati. Aggiungiamo.
Il falso mito del modello italiano all’estero
Un’ulteriore riflessione. Il CONI cura lo sport che arriva a medaglia: lo fa portando risultati ma anche ‘contrabbandando’ mediaticamente per propria una vittoria dello Stato. Ricordiamo, infatti, che i corpi militari, incubatori e attrattori di talenti, fanno guadagnare l’80% degli allori olimpici alla nostra nazione. E allora, occorre, dunque, sfatare il falso mito del modello italiano all’estero.
Origine dei nostri successi a parte, possiamo anche affermare che, alla sportività del Paese ricondotta al metallo conquistato, non corrisponda una cultura sportiva a 360 gradi. Poiché assai meno bene è curata l’attività di base, lontana dal più coccolato vertice e da esso quasi completamente scollegata.
Un Paese difficile da riformare, anche nello sport. Troppi ostacoli, troppi interessi di parte…
In questo sistema imperfetto e per il quale servivano/serviranno interventi lungimiranti e condivisi, il CONI ha scelto di osteggiare una riforma che voleva restituire importanza allo Stato concedendo al CONI stesso competenze limitate alla preparazione olimpica, come avviene in TUTTI i Paesi del Mondo.
Un muro, quello di Malagò, a difesa dello status quo. Una difesa cieca senza nemmeno strutturare una controriforma che provenisse dall’interno del nostro mondo.
Ma un macchinario complesso, non in grado di autoriformarsi o di accettare un dialogo che guardi al futuro, è il migliore dei sistemi? È certamente vero che il CONI abbia svolto un ruolo di supplenza importante, ma una sua riforma era necessaria e auspicabile. E lo sarebbe ancora.
Nota d’attualità a margine. Accogliere con buona volontà la discussione su una riforma strutturale dello sport (ad esempio, quella iniziata con la Legge 145 del 30 dicembre del 2018, che, ad oggi, ha disatteso molti dei suoi principi ispiratori), sarebbe stato importantissimo anche per affrontare una crisi come quella legata al Covid. In assenza di un apparato strutturato a livello statale e di meccanismi pronti a gestire un’emergenza, chi era alle leve del potere ha reagito con notevole ritardo, scarsa conoscenza della materia e accumulato errori. Con il risultato di lasciare in balia di sé stessi operatori dello sport, migliaia di associazioni, strutture, venti milioni di cittadini che praticano continuativamente attività fisica e tutti quelli che dal movimento sono troppo lontani. Ci sono carenze a cui può metter mano solo lo Stato. Se lo Stato non torna a fare lo Stato non avremo mai possibilità di dire che in Italia esiste una vera cultura sportiva. Sarebbe importante imparare dagli errori del passato e programmare, a questo punto, un migliore futuro.
Sport di vertice e sport di base, due mondi che faticano a convivere
Ormai il dato è assodato e una rifor- ma, sia pur imperfetta, lo ha codificato. Sport di vertice e Sport di Base sono due mondi che faticano a convivere. Lo ha ribadito anche il Sottosegretario Vezzali: “Con la riforma del 2008 si è tracciato un cambiamento epocale. Lo Sport di Base e lo Sport che compete oggi sono due am- biti diversi”.
E, in questo contesto, il posizionamento preelettorale delle sigle più autorevoli della Promozione sportiva, schie- rate a favore del cambiamento, è stato netto.
Siamo coscienti che, in futuro, gli EPS potranno occupare un ruolo da pro- tagonisti nella ristrutturazione dello sport italiano. Certo, avremmo preferito come ASI, e lo dico senza mezzi termini, continuare a fornire dall’interno il nostro contributo per il cambiamento del Sistema. Pur nella consapevolezza – l’ho sempre sottolineato – che 5 delegati su 75 a poco servono per rappresentare le esigenze della promozione sportiva e che l’attuale sistema non permette di esprimere un rappresentante in Giunta che sia effettiva espressione della vo- lontà degli Enti ma che, di fatto, viene eletto dalle Federazioni.
Avremmo preferito dare il nostro contributo dall’interno. Ma, a volte, anche scelte sofferte possono metterci nella condizione di raggiungere un obiettivo.
Tutto, per salire sul carro del vincitore
Un altro fenomeno merita attenzione… L’atteggiamento di una parte dei Media. “Le società chiudono e noi celebriamo Malagò?”, questa frase l’ho sentita varie volte nel mio peregrinare sul territorio, cosa che faccio ininterrottamente da quarant’anni. E su molte testate anche nomi di dirigenti, di persone conosciute che si sono unite al coro o, proprio per rimanere in tema, sono salite su quel carro. Magari non credendoci pienamente ma si sa che il facile consenso è a volte figlio dell’ignoranza pluralistica dove taluni individui disdegnano in privato qualcosa che appoggiano in pubblico.
Per Dante Alighieri l’adulazione è il male assoluto, condannato nell’ottavo cerchio del canto dell’Inferno. Dante e Virgilio si trovano lì dopo essere scesi dalla groppa di Gerione. Ci sono, tra i condannati, i Ruffiani. Ma, con loro, attenzione… anche i Seduttori.
Per un attimo avevo pensato di salirci anch’io su quel carro, ove mi fosse stato permesso. Chissà, magari a far sempre il bastian contrario ci si stanca pure. E poi, qualche consiglio più misurato arriva meglio al cocchiere se non si è troppo lontani, ricordando di rimanere prudentemente distanti dal cuoio delle redini e tenere, soprattutto, sempre bene a mente le parole del Sommo Poeta.
Conviene salire? Questo del carro, peraltro già molto affollato (potremmo dunque definirlo, a ben donde, anche carrozzone), sarà tema meritevole di ulteriore riflessione…
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