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05.04.2020

Istituzionale

Loghi stilizzati. La rivoluzione del Calcio Anni ’80 perde suo padre. Un amico di ASI

Piero Gratton ci ha lasciato. Nato a Milano nel 1939, a Roma ci era venuto per studiare, al liceo e poi all’Accademia di Belle Arti di Via Ripetta. Un artista, capofila di una rivoluzione quella dei loghi stilizzati che, a fine Anni ’70 e negli Anni ’80, divennero di gran moda nelle serie calcistiche italiane e poche squadre sembravano immuni dal fascino del cambiamento. Ha realizzato il logo della Roma, il famoso lupetto che era sulle maglie nell’anno dello Scudetto di Falcão e soci. Sovrapponendosi a uno stemma considerato inviolabile per la società giallorossa, la lupa con i gemelli. E anche su quello della Lazio, del Bari, del Palermo, del Pescara. Ma anche l'immagine ufficiale degli Europei di Atletica del 1974, di Euro ’80 o quello della UEFA realizzato nel 1983 e commissionato da Artemio Franchi. 
Piero era un amico dell’ASI e il figlio Michelangelo, fotografo e regista, è oggi Responsabile del Settore Comunicazione Sociale del nostro Ente.  
Piero Gratton è stato per 25 anni in RAI e, dopo la riforma che ha dato vita al TG2, seguì Andrea Barbato che portò grandi novità anche nelle immagini coordinate della rete. Gratton ha realizzato la sigla di Dribbling, Domenica Sprint, Odeon e tante altre… Ha lavorato con Enzo Biagi, Montanelli, Piero Angela, Bruno Vespa e i grandi Direttori dell’epoca. Si è spento all’età di 80 anni. Quello a cui ha dato vita, rimane a ricordarlo…

 

(Gratton insieme con Piero Angela)

Stemmi verso la modernità

I primi loghi “essenziali” nelle forme sono lontani nel tempo. Negli anni di un calcio pionieristico, alla fine della Grande Guerra, molte squadre si adattano alla grafica del momento e alla tendenza all’utilizzo di acronimi che incrociano le proprie forme. Diversi scudetti in quegli anni assumono tali fattezze. Incastri di lettere spesso circondati da una corona d’alloro. 
Loghi “stilizzati”, si direbbe oggi, presto sostituiti da scudi di foggia svizzera o alla banderese, con incavi al capo e altri desueti termini che richiamano all’araldica. 
 
Per lungo tempo è stato così finché le squadre italiane hanno vissuto – e cavalcato – un vento di rivoluzione. 
In un mondo sempre più globalizzato, dove è il marketing a dettare le regole, anche le squadre di Serie A si sono adeguate. Ed è così che le società si sono affidate a veri e propri studi grafici per migliorarne l’immagine. 
Per la creazione di loghi da rimbalzare sulle maglie, sulle sciarpe, sul materiale di merchandising. Con l’ordine di scuderia di sintetizzare il messaggio e di “osare” a scapito della tradizione. 
 
La lupa con i gemelli, diventa un lupetto. Più facile da disegnare, più facile da declinare sui vari prodotti. Coraggioso il passo di rinunciare a uno stemma ispirato a una città con duemila anni di storia sulle spalle. 
 
L’Inter, per tanti anni, ha mantenuto il suo logo formato da un incrocio di lettere all’interno di un cerchio. Tranne in quegli anni in cui ha deciso di stilizzare un biscione, simbolo di Milano. Così anche i cugini rossoneri che rinunciano allo scudo crociato che richiama la città meneghina, per un diavoletto.
 
E la Fiorentina di Antognoni, che trasforma un petalo del giglio, simbolo della città sin dalla Repubblica di Firenze nel 1115, trasformandolo in una “F”.  
 
Anche la Juventus e Torino, quasi all’unisono presentano una zebra e un toro, entrambi in piedi su due zampe. Il Napoli, antesignano di una grafica essenziale, mantiene la sua storica “N”.  
 
La Lazio, prolifica di stemmi aulici caratterizzati da scudi sovrastati o accompagnati dall’aquila imperiale, sempre richiamo a Roma, sceglie un aquilotto che, associato al nuovo sponsor tecnico, sarà chiamato “l’aquilotto della Pouchain” anche se il suo disegnatore è proprio Gratton. Preludio all’innovativa aquila stilizzata che connoterà la maglia iconica oggi eletta tra le cinquanta casacche sportive più belle di tutti i tempi e in tutti gli sport da parte del quotidiano spagnolo Marca. 

Per la prima volta un soggetto, che non fosse la singolare unione di colori o la croce rossa in campo bianco, prende vita in casa Samp. Un marinaio con la pipa in bocca. Il Genoa risponde con un Grifone.
 
E poi Bari, Avellino, Palermo, Triestina, Como, Campobasso, Verona e tante altre squadre che hanno seguito l’onda del momento. 
 
Un'onda che ha esaurito la propria forza prorompente con il ritorno alla tradizione dagli Anni '90? Forse no, se è vero che la Juventus ha lanciato il nuovo logo che manda in soffitta il ‘vecchio' scudetto contraddistinto dai colori bianconeri a strisce a corredo del simbolo della Città di Torino. Uno stemma disegnato secondo un design completamente differente. In cosa consiste? Una "J" sulla quale campeggia il nome del club, bianca incastonata sul fondo scuro che prende luce al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, laddove c'è stata la presentazione ufficiale.
“Questo nuovo logo definisce un senso di appartenenza e uno stile dinamico che permette di comunicare il nostro modo di essere”, ha spiegato il Presidente della Juventus, Andrea Agnelli.
 
Sono passati tanti anni da quando il vento di essenzialità delle forme, negli Anni ’70 e ’80, ha dato vita a una rivoluzione, come anche la voglia di allargare il raggio del business legato alle squadre. Da quando ebbero ragione le società, che scalpitavano per avere anche lo sponsor sulla maglia: ai nastri di partenza della stagione 1981-82, oltre 28 tra formazioni di Serie A e B scesero in campo sfoggiando un nome sul petto che non era quello del club.
Una strada tracciata già dal Vicenza che, nella stagione 1953-54, debuttò con una ‘R’, simbolo del Lanificio Lanerossi di Schio. Passò in cavalleria e per un semplice abbinamento.

La svolta definitiva, dunque, all'alba degli '80. Il football nostrano stava cambiando. Ma non tutti se ne stavano rendendo conto. 
 

[  Fabio Argentini  ]

 

 
 
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