La vetta più alta d'Europa
I giganti del Mondo.
In ordine, l'Everest con 8850m, il K2 (8611m), l'Aconcagua (6959m), il Kilimanjaro (5895m), il Monte Kenya (5199m), il McKinley (6194m) e il Puncak Jaya (5030m). Subito dopo, l'Elbrus (5642) e il Monte Bianco (4807) che si contendono il primato in Europa.
A tu per tu. Tra amanti della montagna…
Innanzitutto vorrei capire come nasce la tua passione per la montagna
“Da piccolissimo. Avevo 5 anni quando, per la prima volta, ho partecipato al campeggio estivo della mia parrocchia a Ollomont, in Val Pelline, dove i Padri Barnabiti avevano una baita. Ero già abituato alla vita all’aria aperta perché andando praticamente da appena nato in villeggiatura nell'appennino ligure-emiliano in alta val trebbia, avevo già confidenza con il bosco, gli animali".
Il fresco, il fiume. Tuttavia quella prima esperienza in Valle d’Aosta è stata un vero imprinting…
"Quelle vette viste con gli occhi di un bambino di 5 anni sembravano irraggiungibili e quei prati, con quei colori e quei profumi, che ci sono solo in montagna, mi sono entrati dentro il cuore e non sono più usciti. Negli anni successivi anche i miei genitori hanno contribuito ad alimentare la mia passione per la montagna portandomi in ferie per tutte le Alpi, da quelle valdostane, in assoluto le mie preferite, al Piemonte, agli scenari mozzafiato della Valle Maira e della Val Varaita, le Dolomiti, il Carso.
Mio papà inoltre aveva scalato da ragazzo il Gran Paradiso con mio Nonno e questo ha alimentato in me un sacco di sogni e di avventure immaginarie di me che emulavo mio papà su quelle cime. Addirittura mi ricordo che a circa 10 anni mi regalò la sua vecchia imbracatura, marca Cassin, tutta cinghie non certo con le schiume che vanno di moda adesso, e mi diede anche due cordini e due moschettoni, di cui uno lo porto sempre con me in tutte le mie scalate.
A 12 anni ho convinto mio padre a portarmi con la guida alpina sulla vetta della Marmolada, arrivando su punta Penia dalla via normale che alterna la percorrenza del ghiacciaio e l’arrampicata su roccia; da quel momento avendo mosso anche i primi passi di arrampicata su roccia, mischiando le vacanze in famiglia con i campeggi dell’azione cattolica (a cui ho partecipato prima come ragazzino e poi come animatore e come capo educatore) la montagna mi è entrata dentro, sottopelle, e ancora oggi quando arrivo in macchina nei pressi di Quincinetto inizio a sospirare e ad agitarmi come quando ero bambino, perché so che sto entrando nella mia Valle d’Aosta e che tra pochi istanti portò vivere e respirare le mie montagne”.
Cosa ha spinto ad associarti ad ASI e quali sono i tuoi progetti futuri all’interno di questa realtà?
“Anni fa, con la mia associazione sportiva (Asd Polisportiva Città dei Ragazzi, il gruppo sportivo della parrocchia) collaboravo con il Civ di San Martino d’Albaro che è un consorzio senza scopo di lucro che ha la funzione di raggruppare e coordinare le attività commerciali e le realtà associative di un quartiere cittadino al fine di promuovere il piccolo commercio e una maggiore integrazione civica.
Nel 2017 organizzammo la prima edizione della CIV RUN una gara di corsa amatoriale per le strade del quartiere con l’arrivo nel campo di atletica del quartiere che necessitava di attrarre le attenzioni del comune per essere ristrutturato.
Dovevamo assicurare circa mille partecipanti e fu così che per caso incontrai Silvestro Demontis, un uomo per bene e un mio grande amico che è Presidente provinciale di ASI.
Affiliai la mia polisportiva e realizzammo un grande evento. Da quel giorno la mia strada e quelle di Silvestro e di ASI si sono incontrate e non si sono più separate, tanto che nel 2018 sono stato eletto Vicepresidente provinciale, iniziando un’altra grande avventura nel mondo della dirigenza sportiva. Silvestro e tutta ASI Genova sono stati catturati dalla mia imminente partenza per l’Elbrus e mi hanno invitato a cucirmi i colori dell’ASI addosso come ente promotore della mia impresa".
Ed ora?
"In questi mesi mi sto occupando di Sport Paralimpico, perché oltre alla montagna sono un istruttore di Taekwondo (cintura nera 3° dan) e alleno nella mia associazione ragazzi e bambini con disabilità intellettive, tra cui uno in particolare che è una delle prime cinture nere paralimpiche e fa parte della Nazionale Italiana Paralimpica di Taekwondo. Nei prossimi mesi mi piacerebbe sviluppare un progetto con ASI che coinvolga la promozione della montagna come ludoterapia per ragazzi con problemi di autismo e perché no, organizzare una cordata di beneficienza per portare questo progetto e i colori di ASI sulla Vetta del Monte Bianco”.
Noi due sappiamo bene che questo elemento naturale crea una dipendenza esistenziale… Come nasce la sfida Elbrus? Raccontaci anche, passo dopo passo, l’ascesa con le difficoltà incontrate e le emozioni vissute al momento… della vetta?
“Sognavo di andare sull’Elbrus fin dal Liceo. Da anni infatti studiavo le Seven Summits e fantasticavo su quale vetta avrei scalato per prima. Dopo il liceo ho abbandonato un po’ questi progetti, ho iniziato a fare il maestro associativo di sci per uno sci club piemontese, ho fatto un corso di perfezionamento dell’insegnamento dello sci in Slovenia, frequentai i corsi di alpinismo base e avanzato del Cai e partecipato al corso di Cascate di Ghiaccio.
Ho iniziato a dedicarmi allo sci fuori pista e allo sci alpinismo fino a quando durante una cena in giardino a metà settembre venne fuori di nuovo il nome Elbrus con il mio amico Roberto. Lui mi disse perché non ci proviamo? A gennaio avevamo i biglietti aerei".
Raccontaci…
"Volevamo approcciare la montagna in Stile alpino, con la tenda, i bivacchi, senza appoggiarci ad agenzie di viaggi, guide alpine, sherpa ed interpreti, non abbiamo utilizzato neanche il Gps o il telefono satellitare. Volevamo andare in esplorazione come i grandi alpinisti del passato, non con la superbia di emularli ma con quella voglia di scoprire nuovi posti e fare esperienze indimenticabili. Ho iniziato ad allenarmi duramente, correndo tutti i giorni alla mattina prima del lavoro e alla sera. Lì ho scoperto ancor di più che, in Liguria, ci sono delle bellissime montagne in scala ridotta. Ho iniziato a correrci. Avanti e indietro, con partenze di notte per abituarmi al freddo e al buio.
A marzo del 2017 decidiamo di andare sul Braithorn Occidentale a 4165 mt per fare il bivacco con una tenda da pochi soldi per capire se avevamo gli attributi di affrontare una montagna di quasi 6000 metri. Ho provato a realizzare 10 ascensioni oltre i 4000 metri riuscendo ad arrivare in cima solo alla metà, compiendo inconsapevolmente un ottimo allenamento alla rinuncia, che a volte ti permette di portare a casa la pelle.
Ad agosto alla partenza non ero semplicemente allenato: ero addestrato nel fisico e nella mente ad affrontare un 'Seimila'… Se ero allenato anche nel cuore lo avrei scoperto sulla montagna".
Russia, terra di contraddizioni…
"La Russia è una terra bellissima. Allo stesso tempo un coacervo di eccessi. Il lusso di Mosca e delle grandi città e la povertà estrema della periferia e delle campagne. Più mi avvicinavo all’Elbrus più la povertà aumentava e alla partenza mi sono ritrovato in un posto veramente lontano dai nostri standard di “località sciistica”.
L’unica consolazione inaspettata, che gli impianti di risalita erano di marca Pomà, italiana…
Siamo stati accolti (ero accompagnato da altri 2 alpinisti Roberto e Antonino) dai locali con molte feste. Appena apparso l’Elbrus dalle nuvole, però, mi sono fatto immediatamente un bagno di umiltà!".
Cosa vuol dire scalare l'Elbrus?
"Per 6 giorni ho vissuto su quella montagna in tenda, con i soli vestiti che avevo addosso, e quello che riuscivo a portare sulle spalle (33 kg di zaino). Per bere o mangiare dovevo sciogliere la neve col fornello a gas e farmi andare bene l’acqua sporca, il cibo schifoso, il freddo polare, le intemperie ecc.
La cosa che mi ha dato più fastidio era il fatto che ero veramente lontano da casa distante oltre 2600 km in linea d’aria, su una montagna dove non esiste il soccorso alpino, nessuno parla in inglese e gli occidentali non sono visti proprio benissimo.
Nelle lunghissime notti in tenda ho pensato spesso a tutte quelle persone che, in giro per il Mondo, lasciano la loro casa in cerca di una vita migliore, per necessità. Io ero lì a patire la fame la sete e il freddo per scelta, per realizzare in un certo senso una prestazione sportiva. Mi ha fatto molto riflettere sul senso della vita e sulla fortuna che ho ad avere questo tipo di vita. Il penultimo giorno abbiamo trovato una finestra di bel tempo e dopo una tormenta pazzesca, senza aver chiuso un occhio siamo partiti. Alle 02.15 di notte dal campo base a 3.900 mt. Temperatura alla partenza -15°".
Difficile da descrivere…
"A circa 4.800 metri, all’altezza del Monte Bianco, ho iniziato ad accusare il freddo… Aveva nevicato molto nei giorni precedenti e la traccia era tutta da battere. I russi si fanno portare fino a 4500 metri dal gatto delle nevi perché non hanno una grande cultura alpinistica e poi fanno gli ultimi 1100 mt di dislivello a piedi. Per noi Italiani è inconcepibile una soluzione del genere. Rappresenterebbe un disonore enorme!".
Paura di non farcela?
"A 5.000 metri dopo un'alba mozzafiato con l’ombra della vetta che si stagliava sulla vicina Georgia sono andato in crisi. Non mi sentivo più le dita dei piedi… zero… Ho capito la gravità di quella sensazione. Ho avuto paura. A -18° e un vento che portava via. Ho iniziato a piangere come un bambino perché ci tenevo troppo a quella montagna. Mi ci ero dedicato con anima e corpo e non capivo come mai non mi permettesse di salirla. Roberto mi ha aiutato a clamarmi e reagire a quella situazione a alle 12.15 i miei ramponi e la mia piccozza si piantavano a 5642 mt sulla vetta più alta di tutta Europa!
Ho pianto di gioia.
Una felicità immensa per essere riuscito ad andare oltre un mio limite, per essere riuscito a realizzare un sogno, per aver capito che non esistono montagne impossibili da scalare ma alpinisti non abbastanza preparati e che questo principio non vale solo in montagna ma nella vita di tutti i giorni".
Il tuo primo pensiero su quella montagna, raggiunta la vetta?
"Un ringraziamento a Dio e un pensiero alla mia famiglia, in particolare a mia mamma. Ho pensato poi all'ASI, la mia casa dello sport, al mio Civ, ai miei compagni di scalata”.
Ma, ora, una domanda forse ancor più 'difficile'… Di questi tempi assistiamo a un crollo di valori fra cui quello della religione. Qual’è il tuo rapporto con essa? Quando arriviamo a salire una montagna, qualsiasi altezza sia, siamo a diretto contatto con la bellezza del Creato. Che risposte ti sei dato in questi anni?
“Innanzitutto secondo me non c’è un problema di crollo di valori in quanto la gente se ne disinteressa proprio… Piuttosto, ritengo il problema sia a monte ovvero che questi valori non vengono trasmessi nel modo corretto. La scuola e lo sport in particolare stanno perdendo la loro funzione educativa e culturale e anche in famiglia viene meno quella parte in cui i genitori trasmettono le passioni ai figli oppure non permettono ai figli di esprimersi liberamente. Nelle mie esperienze con l’associazione sportiva e con l’Azione Cattolica ho conosciuto moltissimi ragazzi. Li ho portati tutti in montagna, li ho appassionati con i racconti delle mie scalate, li ho portati a sciare, ad arrampicare a fare il bagno nei laghi di montagna e ancora oggi, quando ne incontro qualcuno, per strada tutti mi fanno un sacco di feste rinvangando quei bellissimi tempi trascorsi insieme in montagna con la parrocchia.
Mi piace pensare che il merito non sia solo mio.
In montagna infatti l’uomo entra naturalmente in una dimensione di profonda introspezione personale nella quale ascoltare e parlare con Dio è più facile in quei momenti, in montagna con i miei ragazzi ho incontrato Dio veramente, ne avvertito la presenza intima nel mio cuore. Quando arrivo in cima a una vetta e mi guardo intorno oppure quando osservo il profilo delle montagne al tramonto, che sembrano disegnate, capisco intimamente che tutto ciò non può essere frutto del caso ma fa parte sicuramente di un progetto più grande".
Emozioni che trasmette la montagna…
"Può capitare a chiunque di provarle. In modo naturale e anche graze ai maestri in grado di spiegare quanto la montagna non vada solo scalata e percorsa ma ascoltata, capita, fatta entrare nel cuore”.
Vorrei che questo nostro colloquio, terminasse con un pensiero sullo sport…
“Deve diventare uno stile di vita per ognuno di noi. Dobbiamo abbandonare il concetto esclusivamente agonistico e sforzarci d’intenderlo come uno strumento per migliorare la qualità fisica della nostra vita e anche una palestra di vita. Chi fa sport, in particolare chi fa sport nella natura, che sia in montagna o sulle onde del mare o nell’aria, avrà sempre una marcia in più, uno stimolo a non lasciarsi andare per le strade sbagliate e potrà contare sempre su un bagaglio valoriale, composto da soddisfazione, sacrificio, dedizione, passione, voglia di provarci che non appiattiranno mai la vita ma la renderanno frastagliata e bella proprio come il profilo delle nostre montagne”.
Grazie Luca.
Alla prossima avventura…
[ Intervista a cura di Francesco Mancini* ]
*Si definisce Esploratore di Terre e di Anime.
Francesco Mancini, classe 1966, è fotografo e cronista di montagna, trekker, biker MTB, alpinista Invernale, E, "Grandissimo Appenninista", titolo riconosciuto a coloro che hanno asceso tutte le Cime della Catena che parte dal Tosco-Emiliano fino al Calabro-Lucano censite fra i 2000m e i quasi 3000m del Gran Sasso D'Italia. Componente del Consiglio Direttivo del Club 2000m (www.Club2000m.it), Direttore di Escursione del Club Alpino Italiano di Avezzano (https://caiavezzano.it/?page_id=3413). Cura un sito di emozioni e racconti. www.EsplorandoX.it.
Socio FederTrek, ha realizzato per noi questa speciale intervista.