01.04.2025
Lo sport sociale al bivio: trent’anni di costruzione dal basso, ora serve una visione condivisa per il futuro
Dalla rivista primato, marzo 2025.
Negli ultimi trent’anni, celebrati pochi mesi fa, ASI ha scritto lettera dopo lettera una storia silenziosa ma potente: quella dello sport come bene comune. Mentre lo sport di vertice conquistava podi e prime pagine, migliaia di realtà locali costruivano, giorno dopo giorno, una rete capillare di spazi, relazioni e opportunità. Palestre popolari, campetti di periferia, centri multisport, progetti di inclusione e promozione della salute: un’architettura invisibile che ha sostenuto la vita quotidiana di milioni di persone. In questi trent’anni, il nostro Ente – come tanti altri – ha sostenuto un ruolo da protagonista silenzioso. Tanto nel Palazzo – a sostenere il comparto – che nei quartieri. Non sotto i riflettori, ma tra la gente, per la gente. Abbiamo promosso attività per tutte le età, abbattuto barriere culturali, economiche e fisiche, formato tecnici e operatori, costruito modelli di accoglienza e partecipazione. Abbiamo portato lo sport nei centri per disabili, nei progetti contro la dispersione scolastica, nei percorsi di reinserimento per detenuti e persone fragili. Lo abbiamo fatto con competenza, passione e responsabilità civile. Lo abbiamo fatto perché ci credevamo.
Enti. Verso una vera centralità… Oggi, sentiamo arrivato il momento di voltare ancora pagina. Non si può continuare a chiedere al mondo dello sport sociale, agli Enti che sono rappresentativi del 70% degli sportivi in Italia, di supplire alle mancanze dello Stato senza riconoscergli piena dignità politica e istituzionale. Serve una visione nuova, coraggiosa, sistemica. Serve un cambio di passo. Lo sport, se vuole essere davvero per tutti, non può essere gestito solo come un comparto tecnico o come un veicolo di medaglie. Deve essere al centro di una politica pubblica trasversale, integrata con la scuola, con la sanità, con il welfare, con le politiche giovanili e ambientali. Deve parlare il linguaggio dei diritti, non solo quello delle classifiche.
…E verso una nuova governance dello Sport Immaginiamo, insieme a molte altre realtà del settore sportivo e sociale, un nuovo modello di governance dello sport in Italia, fondato su pilastri portanti che, a prescindere, declineremo nel nostro futuro: Inclusione. Non come slogan ma una pratica quotidiana. Lo sport deve raggiungere tutti: bambini, anziani, donne, migranti, persone con disabilità, territori marginali. Sostenibilità sociale e ambientale. Strutture leggere, impatti contenuti, accessibilità garantita. Lo sport può e deve essere parto della transizione ecologica e supportato da politiche lungimiranti. Professionalità e partecipazione. Valorizzare le competenze educative e sociali del nostro settore, snellire la burocrazia, riconoscere il lavoro degli operatori. E includere associazioni come le nostre nei processi decisionali.
Siamo chiamati ad essere parte attiva di un processo di cambiamento Immaginiamo di essere parte attiva di un processo che possa portare, ad esempio, al varo di un fondo nazionale stabile per lo sport sociale, svincolato dalla logica dell’emergenza, una semplificazione normativa che distingua e valorizzi la specificità del terzo settore sportivo, un piano per l’impiantistica di prossimità, con spazi sportivi diffusi, sostenibili e accessibili, una formazione riconosciuta per gli educatori sportivi, fondata su valori e contenuti pedagogici. In sintesi, un nuovo ruolo per gli EPS e le associazioni territoriali, non subalterni al sistema finora conosciuto, ma attori alla pari, capaci di dialogare direttamente con le istituzioni. Non partiamo da zero. Abbiamo radici forti, esperienze vive, una storia solida fatta di migliaia di progetti, di volti, di risultati tangibili. È tempo che tutto questo venga riconosciuto, valorizzato e portato dentro una visione nazionale che non lasci indietro nessuno. Se lo sport è un diritto, allora va garantito. Se è un motore di benessere, allora va alimentato. Se è uno strumento educativo, allora va messo al centro delle politiche per il futuro. Lo sport sociale italiano è pronto a fare la sua parte. L’ha sempre fatta. Ora, però, è il tempo delle scelte e di un ulteriore salto di qualità nella visione governativa. Siamo sulla buona strada
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