07.01.2020
Cosa dovevamo essere e ancora non siamo (e mai saremo?)
Dalla rivista Primato, gennaio 2020.
Il mondo dello sport vive un momento di grande impasse. Una situazione di stallo dalla quale è difficile uscire perché l’auspicata riforma sembra essersi arenata dopo il cambiamento alla guida del Governo e alle dimissioni di Sabelli dalla guida di Sport&Salute.
Come molti di voi sapranno e ricorderanno, ASI è stata tra le sostenitrici della necessità di una riforma del sistema sportivo, prima ancora che l’allora governo giallo-verde decidesse di mettere mano alla materia. Abbiamo sostenuto questa opportunità dalle pagine di questa rivista ed io stesso da Senatore della Repubblica ho voluto sancire la nostra posizione sportiva presentando una proposta politica di riforma e razionalizzazione del sistema.
Poco tempo dopo, l’esecutivo M5S-Lega ha deciso di recepire queste istanze e le ha interpretate con una prima norma, inserita in Legge di Bilancio 2019, con cui ha posto fine all’esistenza della CONI Spa; ha creato in sua sostituzione una società interamente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze denominata Sport e Salute, affidandole la cassa del sistema sportivo; infine ha ridotto il CONI a semplice soggetto organizzatore del movimento olimpico.
Passati pochi mesi da quella legge, è stata varata una riforma per dare risposte alle conseguenze prodotte dall’esistenza di questo nuo-vo soggetto. Non solo, in questa occasione, si è anche approfittato per introdurre modifiche e cambiamenti di sistema. Lo si è fatto attraverso una legge delega, ovvero un dispositivo con cui il governo viene incaricato di emanare una serie di decreti (delegati, appunto) per definire nel dettaglio ciò che la fonte normativa primaria ha stabilito in termini di principio e perimetro.
Come parlamentare e uomo di sport ho deciso di sostenere questa riforma, nonostante alcune perplessità metodologiche e di contenuto. Ovvero, pur non condividendo la scarsa ricerca di confronto e dialogo da parte degli ideatori e estensori delle norme con gli attori del sistema su cui quelle avrebbero impattato e pur trovando istituzionalmente (e giuridicamente) forzato il nuovo vestito ritagliato per il CONI. L’ho fatto mettendo avanti un bene superiore e la speranza di vedere realizzate, nel giro di pochi anni, trasformazioni per cui abbiamo lavorato per lungo tempo con il nostro Ente. Abbiamo cioè confidato nel fatto che, presi dall’impeto rivoluzionario, le forze politiche al governo avessero voluto assumere nella prima fase un piglio decisionista a cui, successivamente, avrebbero affiancato l’adozione di un metodo partecipativo allargato, per assicurare alla riforma del sistema sportivo qualità, condivisione, efficacia e alto gradimento. Oggi, però, come stanno le cose? A che punto siamo rimasti? Due eventi hanno determinato una situazione di stallo, tale per cui viene naturale domandarsi: che fine ha fatto lo spirito della riforma sportiva? Dove stiamo andando? Il primo evento è la conclusione dell’esperienza governativa giallo-verde. Questa è stata sostituita da un esecutivo di minoranza (l’ennesimo), nominato dal Presidente della Repubblica, fatto da forze politiche con pochi punti comuni, ad eccezione della paura delle urne.
Ciò ha determinato un blocco nel processo normativo di emanazione dei decreti delegati presupposto dalla riforma, nonostante la presenza di un ministro dello sport incaricato. I problemi per cui era necessario apportare modifiche nel mondo dello sport rimangono quindi irrisolti, sospesi nell’agone politico. Un esempio tra tutti? Il problema del lavoro affrontato nella legge delega. Nell’atto di indirizzo politico 2019 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali risulta, infatti, che nono-stante in ambito sportivo si concentri la maggior parte dei volontari del non profit, pochi sono proporzionalmente i dipendenti. Una situazione naturale o una forzatura figlia di una situazione legislativa obsoleta e non aderente alla morfologia di settore?
Il secondo elemento per cui ha senso domandarsi quale sia il nostro futuro, è senza ombra di dubbio l’impasse prodotto in Sport e Salute dalle dimissioni del suo presidente Rocco Sabelli. L’individuazione del suo sostituto appare ostaggio di dinamiche partitiche che guardano a quel posto come ad una casella da presidiare in una partita a scacchi con un pubblico poco attento, piuttosto che come ad una posizione da assegnare ad un manager illuminato, profondo conoscitore del settore, capace di interpretare il senso del ruolo.
Non solo, la direzione intrapresa dalla stessa società sembra opposta al senso sotteso alla riforma. Tralasciando alcune iniziative demago-giche di cui si è fatta portatrice Sport e Salute, il fatto che al centro del suo dibattito sia tornata la Federcalcio – e lo sport di vertice in generale – dimostra come si sia voluto stravolgere il senso delle norme approvate dal governo giallo-verde. Perché questo capovolgimento? Solo per dinamiche di contrapposizione politica? Allo stesso modo, fuori dal senso di quelle sta anche l’ipotesi che lo Stato possa sostenere lo sport di base con le medesime risorse del passato – come sembra delinearsi allo stato attuale. Ecco perché oggi vogliamo con forza porci queste domande. Per testimoniare come, a chi ha sempre tenuto alla riforma dello sport come ad un’opportunità globale, a prescin-dere dalle logiche di parte e di fazione, desti qualche perplessità e un po’ di disappunto la situazione attuale. Non solo; vogliamo anche rassicurare tutti sul nostro impegno nel difendere i principi cui teniamo e di cui ci siamo fatti portavoce nel corso degli anni e di cui ancora saremo i megafoni in tutte le sedi e nei modi che riterremo più utili. “Il presente editoriale é stato scritto prima della nomina del nuovo presidente e AD di Sport & Salute, Vito Cozzoli, voluta dal Ministro dello Sport Vincenzo Spadafora e avvenuta il 28 gennaio c.a.”.
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